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Gli “hub di rimpatrio” fuori dell'Ue, nuovo mattone della fortezza
Il prossimo passo nella costruzione dell'Europa fortezza sono gli “hub di rimpatrio”, dei campi da collocare in paesi fuori dai confini dell'Unione europea, dove concentrare migranti che hanno ricevuto l'ordine di espulsione negli stati membri, in attesa che siano rimpatriati nei loro paese di origine. La proposta, presentata come “soluzione innovativa” da un gruppo di quindici stati membri, sarà discussa per la prima volta dai ministri dell'Interno domani in una riunione a Lussemburgo. Il concetto potrebbe intrufolarsi nelle conclusioni del Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre, dove l'immigrazione sarà nuovamente tra i temi in cima all'agenda dei capi di stato e di governo. “Campi di concentramento” non è un'espressione che l'Ue può utilizzare. Un diplomatico li ha definiti “punti di raccolta prima del rimpatrio nel paese di origine”. La dizione ufficiale è “return hub”. Diversi stati membri sono convinti che il luogo ideale dove collocarli sono i paesi candidati all'adesione. L'accordo concluso con l'Albania da Giorgia Meloni è servito da ispirazione.
L'esternalizzazione della gestione della politica migratoria non è un concetto nuovo. Durante la crisi dei rifugiati del 2015-16, diversi paesi avevano avanzato proposte simili a quelle che oggi vengono chiamate “soluzioni innovative” fuori dai confini dell'Ue. Nel 2018 il Consiglio europeo ha anche dato la sua benedizione all'idea di “piattaforme di sbarco regionali” in paesi terzi, dove portare i migranti salvati in mare, per selezionare i candidati effettivi all'asilo e quelli da rimpatriare. Ma la Commissione – all'epoca presieduta da Jean-Claude Juncker – aveva sempre rigettato per ragioni giuridiche e pratiche. Il diritto dell'Ue non può essere applicato extra-territorialmente. L'Ue non ha la capacità di verificare o monitorare ciò che fanno i paesi terzi. In ogni caso è necessario ottenere l'accordo del paese terzo dove dovrebbero collocarsi i centri di rimpatrio o di sbarco. Con Ursula von der Leyen tutto è diventato possibile.
Il precursore delle “soluzioni innovative” per molti aspetti è l'accordo concluso con la Turchia per arginare i flussi di rifugiati siriani il 18 marzo del 2016: ingenti finanziamenti in cambio del blocco delle partenze. L'accordo ha avuto un certo successo, ma ha permesso a Recep Tayyip Erdogan di usare i migranti come moneta di scambio (o ricatto) nei successivi rapporti con l'Ue. L'Italia ha fatto qualcosa di simile con la Libia, quando ha orchestrato la creazione di una zona di ricerca e soccorso libica nel Mar Mediterraneo centrale, che in realtà serve per intercettare i migranti in mare e riportarli in quello che la stessa Ue considera un luogo “non sicuro”. Il memorandum Ue-Tunisia del luglio del 2023, fortemente voluto dall'Italia, replica il modello Libia. Sotto la Commissione di Ursula von der Leyen sono seguiti gli accordi con la Mauritania, l'Egitto e il Libano.
Meloni ha compiuto un passo ulteriore con l'accordo con l'Albania per esternalizzare fuori dalle frontiere dell'Ue le procedure di asilo. Il progetto non è ancora iniziato. Gli esperti sono scettici quanto alla sua efficacia. L'Italia terrà una grande nave fuori dalle acque territoriali a sud di Lampedusa per fare la selezione dei richiedenti asilo che saranno portati in Albania, con rischi evidenti di rivolte a bordo. Meloni ha detto che l'accordo permetterà all'Italia di dirottare verso l'Albania 36 mila richiedenti asilo l'anno. Ma i due centri rischiano di raggiungere molto rapidamente la loro capacità massima di 3 mila migranti. Se non potranno essere rimpatriati, resteranno in Albania per 18 mesi, paralizzando di fatto il meccanismo. Anche i ricorsi individuali potrebbero inceppare il sistema. Eppure l'accordo tra Italia e Albania ha ricevuto la benedizione giuridica di von der Leyen e le lodi politiche di diversi governi, tra cui quello tedesco di Olaf Scholz.
Dopo l'accordo con l'Albania, e nonostante l'adozione del nuovo Patto su migrazione e asilo, quindici governi hanno scritto alla Commissione per chiedere “nuove soluzioni per affrontare l'immigrazione irregolare verso l'Europa”. L'iniziativa è partita dalla Danimarca, a cui si sono associati i ministri dell'Interno di Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Grecia, Italia Cipro, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Romania e Finlandia. Nella lettera sono menzionati gli “Emergency Transit Mechanisms” (i centri in Ruanda e Niger dove vengono trasferiti migranti vulnerabili dalla Libia sotto un programma dell'Unhcr) come modello di una nuova versione delle piattaforme di sbarco regionali: dovrebbero servire a “individuare, intercettare o, in caso di pericolo, salvare migranti in alto mare e condurli in un luogo sicuro prestabilito in un paese partner al di fuori dell'Ue, dove potrebbero essere trovate soluzioni durevoli per questi migranti”. La lettera chiede anche di studiare “una potenziale cooperazione con paesi terzi sui meccanismi di hub di rimpatrio”, dove i migranti espulsi “potrebbero essere trasferiti in attesa del loro allontanamento definitivo”.
La richiesta di “soluzioni innovative” era stata accolta con molto scetticismo da parte dei governi non firmatari. “Io non vorrei mai essere oggetto di una soluzione innovativa”, aveva detto all'epoca un diplomatico di uno di questi stati membri. Ma in quattro mesi il clima è cambiato. In Germania, il governo di Olaf Scholz ha reintrodotto i controlli alle frontiere e rimpatriato una ventina di afgani, dopo la sconfitta subita nelle urne in Turingia e Sassonia. In Francia il nuovo ministro dell'Interno, Bruno Retailleau, è considerato un falco. Ursula von der Leyen ha affidato al conservatore austriaco, Magnus Brunner, il portafoglio dell'immigrazione nella prossima Commissione e gli ha affiancato la conservatrice croata, Dubravka Suica, per gli accordi con i paesi sulla sponda sud del Mediterraneo. “Le soluzioni innovative hanno perso la loro caratterizzazione negativa”, ci ha spiegato una fonte dell'Ue.
La presidenza ungherese dell'Ue ha messo gli “hub di rimpatrio” all'ordine del giorno del Consiglio Affari interni di giovedì a Lussemburgo. Ai ministri verrà chiesto se dare mandato agli esperti di esplorare questo concetto, prima di tornare al livello politico. Per il momento non ci sono proposte concrete. Ma sta emergendo un consenso sul fatto che l'Ue può avere “leva” sui paesi candidati per chiedere loro di ospitare “punti di raccolta prima del rimpatrio nel paese di origine”, spiega la prima fonte. Secondo alcuni diplomatici, i paesi candidati – in particolare quelli dei Balcani – sono più adatti, perché nel percorso verso l'adesione devono rispettare gli standard dell'Ue su migrazione e asilo. Inoltre, l'Ue ha la possibilità di verificare se i diritti minimi vengono rispettati. Ma la “leva” sarebbe anche politica e finanziaria: un paese candidato che collabora sui migranti avrà più chance di accelerare il processo di adesione.
Gli “hub di rimpatrio” potrebbero finire indirettamente anche nelle conclusioni del Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre. Per il momento, la bozza di conclusioni non contiene l'espressione “hub di rimpatrio”, ma c'è la richiesta di “un nuovo approccio comune sui rimpatri”. I leader chiederanno “un'azione determinata a tutti i livelli per aumentare e accelerare i rimpatri dall'Ue”. Concentrarsi sulla dimensione esterna – anche con soluzioni impraticabili – serve a nascondere le divisioni sulla gestione interna. Il nuovo Patto su migrazione e asilo avrebbe dovuto “portare la calma” sulle politiche migratorie, riconosce un ambasciatore. “Ma la calma auspicata non si è concretizzata”. Schengen è in pericolo: dopo la decisione della Germania di reintrodurre le frontiere, la Francia ha annunciato di voler rafforzare i suoi controlli.
In privato ambasciatori e diplomatici riconoscono che proposte come gli “hub di rimpatrio” sono “un'illusione ottica” e il dibattito si fonda “sul nulla” perché nessun paese terzo, tranne Albania e Ruanda, si è mai detto pronto ad accettare richiedenti asilo da paesi europei. In ogni caso, agli occhi dei realisti, sono accordi di pura facciata che non cambieranno in modo significativo i numeri dei richiedenti asilo. “Ci sono milioni di persone che entrano legalmente nell'Ue e appena 300 mila ingressi illegali”, riconosce un diplomatico, ricordando che due terzi dei richiedenti asilo sono arrivati con un visto regolare. “Come politici dovremmo sforzarci di basare le nostre scelte sui dati”. Ma, nel clima di isteria politica che genera il tema dell'immigrazione, la razionalità, i numeri e i fatti non fanno più parte della scatola degli attrezzi dell'Ue.
La frase
“Noi rappresentiamo la volontà del popolo”.
Viktor Orban.
Presidenza Orban
Le soluzioni di Orban per l'immigrazione, primo atto dello show al Parlamento europeo - Viktor Orban ieri ha tenuto una lunga conferenza stampa al Parlamento europeo, prima del suo intervento in plenaria oggi per presentare le priorità della presidenza ungherese del Consiglio dell'Ue. Uno dei temi che ha trattato è quello dei migranti. “La soluzione è un hot spot esterno”, ha detto Orban: “Chi vuole entrare nell'Ue deve fermarsi al confine dell'Ue. Deve presentare domanda. E aspettare la risposta prima di entrare. Questa è l'unica possibilità”. Secondo Orban, “una volta che un migrante è entrato e ha dei diritti, anche se non riceve il permesso di soggiorno, non se ne andrà mai più dal territorio dell'Ue. Non conosco nessun governo che voglia raccogliere queste persone con la forza, li metta su un mezzo di trasporto e li faccia uscire dal territorio dell'Ue. Questa è un'illusione. L'unico migrante che non verrà qui è quello che non può entrare”, ha detto il premier ungherese. Orban ha anche proposto la creazione di vertici di Schengen sul modello dell'Eurosummit per la zona euro. “Come i leader dei paesi che appartengono alla zona euro, i leader dei paesi che appartengono a Schengen dovrebbero riunirsi insieme per gestire insieme al più alto livello politico i confini Schengen”, ha detto Orban.
Orban promette un Patto per la competitività al vertice di Budapest - Al vertice di Budapest del 7 novembre, Orban proporrà di adottare un “nuovo patto per la competitività europea”, ha annunciato ieri il primo ministro ungherese durante la sua conferenza stampa al Parlamento europeo. Il patto dovrebbe ispirarsi al rapporto di Mario Draghi, anche se in versione ridotta quanto alle raccomandazioni. Le priorità di Orban saranno diminuzione degli oneri amministrativi e della regolamentazione, prezzi dell'energia abbordabili, politica industriale, rafforzamento del mercato unico, unione dei mercati dei capitali e connettività. Ma il sogno di Orban è trasformare il vertice di Budapest in un conferma delle sue intuizioni pro Donald Trump. Il premier ungherese è sicuro della vittoria del repubblicano e “aprirà un nuovo capitolo” della guerra della Russia contro l'Ucraina. Kyiv “non può vincere”, la strategia dell'Ue è “perdere, perdere, perdere”, mentre Trump “non aspetterà fino all'inaugurazione per arrivare a una pace”, ha detto Orban.
Geopolitica
L'Ungheria conferma il veto che blocca il prestito del G7 all'Ucraina - Il ministro ungherese delle Finanze, Mihaly Varga, ieri ha confermato il veto del suo paese al prolungamento da 6 mesi a 3 anni delle sanzioni sugli attivi russi sovrani immobilizzati, mettendo in pericolo il prestito all'Ucraina da 50 miliardi di dollari promesso dal G7. “Noi pensiamo che questa questione, il prolungamento delle sanzioni russe, deve essere decisa dopo le elezioni negli Stati Uniti”, ha detto Varga. “Dobbiamo vedere in quale direzione andrà la futura amministrazione su questa questione. Si può vedere dalla campagna elettorale. Ci sono due direzioni per risolvere questo problema: una per la pace, l'altra per la guerra”. Gli ambasciatori dei ventisette stati membri oggi dovrebbero annunciare un accordo su tre proposte legislative che permetteranno all'Ue di mobilitare fino a 35 miliardi di euro per il prestito del G7. Ma il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, ha ricordato che il prolungamento delle sanzioni “è una precondizione per un coinvolgimento alla pari degli Stati Uniti in questa operazione”. Se non ci sarà accordo sulle sanzioni nell'Ue, l'Amministrazione Biden potrebbe ridurre considerevolmente il suo contributo, stimato a 20 miliardi di dollari, aumentando la quota europea del prestito. Diversi diplomatici prevedono che il tema possa diventare esplosivo al Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre, quando Viktor Orban sarà sotto pressione per togliere il veto.
Un nuovo regime di sanzioni contro la Russia - Il Consiglio dell'Ue ieri ha istituito un nuovo quadro di sanzioni per rispondere alla destabilizzazione della Russia all'estero, per colpire con misure restrittive i responsabili di azioni ibride. “Oggi inviamo un messaggio chiaro e unito contro le crescenti attività ibride della Russia”, ha detto l'Alto rappresentante, Josep Borrell: “le azioni destabilizzanti contro l'Ue, i suoi Stati membri e i suoi partner hanno un costo”. L'elenco delle minacce ibride include le interferenze nei processi elettorali e nel funzionamento delle istituzioni democratiche; i sabotaggi di attività economiche, servizi di interesse pubblico o di infrastrutture critiche; l'uso di disinformazione coordinata e la manipolazione delle informazioni; le attività informatiche malevoli; e la strumentalizzazione dei migranti. Le sanzioni sono quelle tradizionali: le persone fisiche o le entità che finiranno nella lista nera saranno soggette al congelamento dei beni nell'Ue e a un divieto di ingresso sul territorio europeo. Ai cittadini e alle entità dell'Ue sarà vietato mettere a loro disposizione fondi.
Milton costringe Biden a cancellare la visita in Germania e il vertice per l’Ucraina - La Casa Bianca ha annunciato ieri che il presidente degli Stati Uniti ha deciso di rinviare i suoi viaggi in Germania e in Angola a causa dell'arrivo in Florida, mercoledì, dell'uragano Milton, descritto come estremamente pericoloso. La Florida, dove il candidato repubblicano Donald Trump ha interessi immobiliari, è stata devastata quindici giorni fa da una tempesta mortale, Helene, e la gestione di questi disastri naturali è diventata un argomento politico nella campagna per le elezioni presidenziali del 5 novembre. Joe Biden sarebbe dovuto arrivare in Germania il 10 ottobre e il 12 ottobre aveva convocato un vertice dei leader del gruppo Ramstein, la coalizione di paesi che sostengono l'Ucraina, per discutere delle forniture di armi a Kyiv. Il presidente Zelensky è in attesa di decisioni sulla revoca delle restrizioni imposte dagli Stati Uniti e da diversi paesi europei sull'uso di missili a lungo raggio forniti dagli alleati per colpire obiettivi militari in territorio russo.
Il PPE vuole spogliare Kallas per mettere i suoi panni al commissario alla Difesa – Dentro la Commissione europea il PPE si è assicurato il commissario alla Difesa. Il posto era stato promesso da Ursula von der Leyen. È stato assegnato all'ex primo ministro lituano, Andrius Kubilius, membro del Partito Popolare Europeo, la famiglia politica dominante nell'Ue. Per dare corpo a questo nuovo portafoglio, von der Leyen ha ridistribuito le competenze che erano di Thierry Breton e ha affidato a Kubilius le responsabilità della difesa. Parigi ha lasciato che ciò accadesse e ha sostituito Breton con Stéphane Séjourné. Una doppia vittoria. Ma il PPE vorrebbe andare oltre. In un documento intitolato “Costruire un'Unione Europea della Difesa”, il PPE sostiene la nomina di Kubilius a “Capo dell'Agenzia Europea della Difesa e a Rappresentante Speciale del Consiglio per l'Unione della Difesa con la supervisione della Cooperazione Strutturata Permanente”, nonché la creazione di un Consiglio dei Ministri della Difesa sotto il commissario. Il problema è che queste sono le responsabilità dell'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, carica affidata dagli Stati membri all'ex primo ministro estone, Kaja Kallas, membro di Renew (Liberali). Il secondo problema è che “ci vorrebbe una modifica del trattato” per modificare le funzioni dell'Alto rappresentante, come ci ha spiegato un funzionario europeo. Von der Leyen non ha fatto questo passo. Kubilius sarà responsabile della politica industriale di difesa dell'Ue, con il compito di convincere la Francia e gli altri Stati membri ad aumentare il bilancio della difesa, cosa non da poco. Il documento del PPE ha come obiettivo di destabilizzare Kaja Kallas e indebolirla. Il nuovo Alto rappresentante si sta preparando per l'audizione davanti al Parlamento europeo del 12 novembre, quando dovrebbe esprimere il proprio punto di vista su quale sarà la sua missione.
Un'olandese candidato alla guida dell'EDA - L'ex ministro della Difesa olandese, Kajsa Ollongren, è candidata a succedere al ceco Jiří Šedivý come direttore dell'Agenzia europea per la difesa (EDA), ha reso noto Euractiv. La nomina è di competenza degli Stati membri. Il profilo di Ollongren soddisfa i requisiti del posto, ma la sua nazionalità potrebbe rappresentare un problema dopo la nomina dell'ex premier olandese Mark Rutte a capo della Nato.
Stoltenberg si ricicla a Monaco - Il norvegese Jens Stoltenberg diventerà il nuovo presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco (MSC) dopo la 61esima edizione del febbraio 2025, ha annunciato il suo portavoce. Jens Stoltenberg ha guidato la Nato per 10 anni e ha appena passato il testimone all'olandese Mark Rutte. L'ex segretario generale dell'Alleanza è un habitué della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, il principale evento mondiale sulla difesa, e la sua nomina a successore di Christoph Heusgen era nell'aria al momento del passaggio di consegne a Mark Rutte il 1° ottobre, anche Stoltenberg non aveva confermato nulla.
Geoeconomia
La Cina inizia la guerra commerciale con l'Ue colpendo cognac e brandy - Il ministero del Commercio cinese ieri ha annunciato che dall'11 ottobre imporrà dazi anti-dumping sulle importazioni di brandy dall'Ue, in quella che a Bruxelles è considerata una ritorsione commerciale dopo la decisione sui dazi contro i veicoli elettrici importate dalla Cina. Martell, Remy Martin, Hennessy, Nonnino si vedranno imporre un'aliquota dal 30,6 al 39 per cento sui loro prodotti distillati esportati in Cina. Francia e Italia hanno votato a favore dei dazi sulle auto elettriche cinesi. Non solo Pechino ha fatto marcia indietro sull'annuncio di non voler imporre dazi sul brandy europeo, ma minaccia di sparare altre salve commerciali contro l'Ue. Il ministero del Commercio ha annunciato che per "proteggere i legittimi diritti delle industrie e delle aziende cinesi" potrebbe imporre dazi sulle auto, la carne di maiale e i prodotti lattiero-caseari importati dall'Ue. “Non siamo mai preoccupati”, ha risposto il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni. “Abbiamo un'inchiesta seria sui rischi di sovra produzione in alcuni settori. Abbiamo preso decisioni appropriate e molto proporzionate. Non penso che ci sia alcuna ragione di reagire a questa decisione proporzionata con una ritorsione”, ha aggiunto. La Commissione ricorrerà davanti all'Omc contro i dazi cinesi su brandy e cognac. “Siamo determinati a difendere l'industria dell'UE contro l'abuso degli strumenti di difesa commerciale”, ha detto un portavoce.
Schengen
La Svezia reintroduce i controlli alle frontiere - Il governo svedese ieri ha notificato alla Commissione la reintroduzione dei controlli a tutte le sue frontiere interne di Schengen. La ragione sono "minacce gravi all'ordine pubblico e alla sicurezza interna posta da eventi recenti legati al terrorismo e a crimini gravi associati con un conflitto armato in corso" tra bande criminali. Per una volta non sono i flussi migratori a motivare i controlli alle frontiere, che resteranno in vigore per sei mesi. La scorsa settimana due giovani svedesi sono stati arrestati in Danimarca per due esplosioni avvenute vicino all'ambasciata israeliana a Copenhagen. I due sarebbero legati a una sparatoria avvenuta vicino all'ambasciata israeliana a Stoccolma alcuni giorni. La violenza tra le gang è considerata una delle emergenza per la sicurezza sia della Svezia sia della Danimarca.
Francia
Barnier sopravvive alla censura - La mozione di censura presentata dal Nouveau Front Populaire, l'alleanza di partiti guidata dalla France insoumise, è stata respinta. Firmata da 192 dei 193 membri eletti del Nouveau Front Populaire, è stata approvata da 197 deputati. Non abbastanza. La maggioranza necessaria per rovesciare il governo è di 289 voti. La sinistra ha denunciato l'appoggio del Rassemblement National, ma i numeri sono ostinati. Il governo Barnier cadrebbe solo se il Nouveau Front Populaire raccogliesse i voti del Rassemblement National e del suo alleato Eric Ciotti. Un'alleanza tra gli Insoumis di Jean-Luc Mélenchon e l'estrema destra di Marine Le Pen è uno scenario possibile. Ma non è detto che il Partito socialista e gli ecologisti seguiranno i loro leader se si muoveranno su questa strada. Il prossimo banco di prova per la sopravvivenza del governo Barnier sarà il voto sulla legge di bilancio 2025.
Accade oggi
Parlamento europeo: sessione plenaria a Strasburgo (presentazione del programma della presidenza ungherese con Viktor Orbán; tassare i super ricchi; gli alloggi in Europa; rafforzare la sicurezza esterna dell'Europa; i crimini legati alla droga; il rapporto annuale sullo stato di diritto; il caso di Bulent Mumay in Turchia; le persecuzioni degli Uiguri in Cina; i diritti delle donne in Iraq)
Presidenza ungherese dell'Ue: riunione informale dei ministri dell'occupazione a Budapest
Commissione: la vicepresidente Vestager a Roma incontra il ministro delle Finanze, Giancarlo Giorgetti
Commissione: la vicepresidente Suica a Dubrovnik partecipa al Summit Ucraina-Europea del Sud-est
Commissione: i commissari Vestager e Hahn incontrano la presidente della Bei, Nadia Calvino
Commissione: il commissario Reynders a Parigi partecipa al comitato ministeriale dell'Ocse sulla politica dei consumatori
Parlamento europeo: conferenza stampa di Ana Miranda (Verdi) sulla situazione in Medio Oriente
Parlamento europeo: conferenze stampa dei deputati Barrena, Schiede e Orlando sul mancato rispetto delle decisioni della Corte europea dei diritti umani da parte della Turchia
Consiglio: riunione del Coreper I e II
Consiglio: riunione del Comitato politico e di sicurezza
Comitato delle regioni: settimana europea delle regioni e delle città
Comitato delle regioni: sessione plenaria (dibattito con la presidente della Bei, Nadia Calvino)
Eurostat: dati sull'energia a luglio; dati sui migranti a rischio povertà e esclusione sociale nel 2023