Buongiorno! Sono David Carretta e con Christian Spillmann e Idafe Martín vi proponiamo il Mattinale Europeo, uno strumento per offrire analisi, contesto e prospettiva a chi è interessato all'Ue.
Non dimenticate di sostenere il Mattinale passando a un abbonamento a pagamento.
Tutte le soluzioni innovative per orbanizzare l'UE
I leader dell'Unione Europea oggi si ritrovano a Bruxelles per un vertice che potrebbe concludersi con un fallimento sulle politiche migratorie. Secondo diversi diplomatici, la bozza di conclusioni su questo tema potrebbe non essere approvata. La ragione non è un improvviso sussulto umanitario di alcuni leader. I capi di stato e di governo sono spaccati sulla gestione interna dei flussi migratori: controlli alle frontiere interne di Schengen, attuazione del nuovo Patto su migrazione e asilo, ridistribuzione di quote di richiedenti asilo, riattivazione delle regole di Dublino per i paesi di primo ingresso. Ma sulla cosiddetta “dimensione esterna” - un eufemismo per non dire “Europa fortezza” - c'è un consenso quasi generale. Il nuovo mantra sono le “soluzioni innovative” e “le nuove modalità” discusse a questo Consiglio europeo: un altro eufemismo per non dire “orbanizzazione” della politica migratoria dell'Ue.
Dalla crisi dei rifugiati del 2015-16 “il dibattito si è chiaramente spostato in una direzione: verso destra”, ci ha spiegato un alto funzionario dell'Ue. Fino a qualche anno fa nell'Ue “era impossibile parlare di finanziamento delle infrastrutture per proteggere i confini. Ora è ampiamente accettato. Immaginare nuove modalità per prevenire la migrazione irregolare sarebbe state inconcepibile qualche anno fa”. Oggi 17 paesi chiedono “soluzioni innovative”. Quali? I tabù sono caduti. Ieri l'Italia ha fatto sbarcare in Albania i primi 16 migranti trasportati direttamente dalle acque internazionali dopo un salvataggio in mare. La bandiera dell'Ue sventola al fianco di quella italiana sopra il centro dove sono effettuate le operazioni di screening. Lunedì la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha promesso di lavorare alla creazione di “return hubs”, anche se sono attualmente illegali per il diritto dell'Ue. La scorsa settimana Viktor Orban ha detto gli “hotspot esterni” sono l'unica soluzione. Sono modelli diversi. Nessuno ha mai funzionato. Ma puntano tutti nella stessa direzione.
Il Protocollo che l'Italia ha firmato con l'Albania prevede di esternalizzare le procedure delle richieste di asilo dei migranti. In caso di accoglimento, i rifugiati saranno trasferiti in Italia. In caso di rifiuto, resteranno in Albania in attesa di essere rimpatriati. Nel 2018 la Commissione aveva escluso questo meccanismo, perché implica la violazione del principio di non respingimento e l'applicazione extraterritoriale della legislazione dell'Ue. Nel 2023 la Commissione ha dato il via libera con due finzioni giuridiche: i migranti salvati in alto mare non devono entrare nelle acque territoriali dell'Ue (altrimenti sarebbe un respingimento); nei centri in Albania si applica la legislazione italiana e non quella comunitaria (altrimenti sarebbe violato il divieto di applicazione extraterritoriale del diritto dell'Ue). L'acrobazia giuridica è da primato. La legislazione italiana recepisce la legislazione europea sull'asilo, ma la Commissione finge che sia un sistema giuridico totalmente separato. Diversi esperti ritengono che il Protocollo non supererà la prova della Corte dell'Ue.
Il Protocollo con l'Albania è efficace in termini di propaganda populista: con le immagini di ieri Giorgia Meloni mostra agli elettori che ha fatto quello che aveva promesso. La nave militare che trasporta 16 naufraghi provenienti da Egitto e Bangladesh proietta l'idea del blocco navale. L'efficacia pratica del Protocollo è molto più dubbia. Diversi diplomatici in privato riconoscono l'effetto “sarà molto limitato sui numeri” e il “costo finanziario sarà molto alto”. Meloni ha promesso che 36 mila migranti saranno trasportati in Albania ogni anno. Ma il meccanismo rischia di incepparsi non appena superata la soglia dei mille migranti presenti nei centri in Albania. Se l'Italia non riuscirà a deportarli nel loro paese di origine, dopo 18 mesi dovranno essere trasferiti in... Italia. Secondo un diplomatico, la lettera in cui von der Leyen dice di voler guardare alle “lezioni” del modello Albania dimostra “saggezza”. Non perché sarà un successo, ma perché sarà un fallimento.
I “return hubs” sono diventati di moda nelle ultime due settimane. Il Protocollo con l'Albania è stato di ispirazione, ma il modello è molto diverso. L'idea è di creare dei centri in paesi terzi dove deportare i migranti già presenti nell'Ue, che hanno ricevuto un ordine di espulsione e non possono essere rimpatriati nei paesi di origine. In una lettera ai capi di stato e di governo in vista del Consiglio europeo, von der Leyen ha annunciato la sua intenzione di “esplorare” modalità per “sviluppare return hubs fuori dall'Ue”. La nuova Commissione farà una proposta legislativa. “Oggi non è giuridicamente possibile nell'Ue inviare un immigrato illegale in un paese terzo" diverso da quello di origine, ha dovuto ammettere una portavoce dell'attuale Commissione. Nel 2018 i “centri esterni di rimpatrio” erano stati bocciati dalla Commissione di Jean-Claude Juncker. Secondo le nostre fonti, il premier spagnolo, Pedro Sanchez, porrà la domanda chiave: “Perché i paesi di origine degli immigrati irregolari che non li accettano ora, li dovrebbero accettare quando saranno rinchiusi nei campi di concentramento fuori dall'Ue?”. Altra domanda: perché i paesi dei Balcani occidentali dovrebbero accettare campi di concentramento dell'Ue sul loro territorio?
Gli “hotspot esterni” di Orban sono un altro modello di soluzione innovativa: campi di concentramento per migranti prima che entrino sul territorio dell'Ue. Lì dovrebbero chiedere l'asilo. Solo in caso di esito positivo sarebbero lasciati entrare. Orban conosce bene i punti deboli dell'Ue. Sa che i rimpatri non funzionano, perché i paesi di origine non si riprendono i loro cittadini indietro. Il suo slogan è: “L'unico migrante che non rimane nell'Ue è quello che non entra nell'Ue”. Ma gli “hotspot esterni” sono vietati dal diritto internazionale perché violano il principio di non respingimento. Inoltre, non essendo un'isola come l'Australia, sarebbe impossibile per l'Ue impedire l'ingresso di migranti lungo tutti i suoi confini marittimi e terrestri. Infine, c'è un dettaglio che tutti preferiscono dimenticare: più dei due terzi del milione di richiedenti asilo arrivano nell'Ue via area in modo regolare. Sono dotati di un visto (turistico, di studio o di lavoro) o beneficiano del regime di liberalizzazione dei visti.
Le soluzioni innovative includono gli accordi con i paesi terzi per bloccare le partenze. Turchia, Libia, Tunisia, Mauritania, Egitto, Marocco: l'elenco si allunga, nonostante i regimi locali siano accusati di usare i fondi dell'Ue per violare i diritti dei migranti. Von der Leyen ormai rivendica apertamente la cooperazione con la Libia per “intercettare” i migranti in mare, malgrado sia una violazione del principio di non respingimento e l'Ue consideri il paese “non sicuro”. Il prossimo passo che alcuni leader dell'Ue vogliono fare – tra cui von der Leyen e Meloni – è spingere i rifugiati siriani che sono scappati dalle persecuzioni e dalla guerra di Bashar al Assad in Siria a ritornare nella Siria ancora sotto il dominio di Assad. L'Alto rappresentante, Josep Borrell, si è opposto perché UNHCR e OIM considerano la Siria un paese “non sicuro”. Ma la Commissione va avanti.
Un'altra “soluzione innovativa” è l'uso di tutti gli strumenti dell'Ue per convincere i paesi terzi a firmare accordi di rimpatrio: regime dei visti, aiuti allo sviluppo e accordi commerciali. In realtà, non c'è niente di innovativo. E' dal 2014 che la Commissione e gli stati membri dicono di volerlo fare. Le sanzioni sui visti hanno avuto qualche successo con il Bangladesh e il Gambia, ma sono considerate controproducenti perché rovinano i rapporti con i paesi terzi. Il taglio agli aiuti di sviluppo, secondo tutti gli esperti, aumenterebbe le cause all'origine delle migrazioni: la povertà. Lo stesso vale per la minaccia di togliere il regime commerciale preferenziale (zero dazi su tutto tranne le armi) ai paesi più poveri che non cooperano sui rimpatri. “Meno crescita economica nei paesi terzi significa più migranti”, ci ha spiegato una fonte della Commissione.
L'ossessione dell'Ue sui migranti ha effetti “catastrofici” sulle ambizioni geopolitiche dell'Ue, ci ha detto un funzionario. “I paesi africani non ci prendono sul serio quando dobbiamo discutere partnership su questioni chiave come i minerali o le materie prime”. Inoltre, “i regimi guardano al prezzo che l'Ue è pronta a pagare in Tunisia e altrove. Non hanno nessun incentivo a riformarsi e le cause profonde delle migrazioni si perpetuano”, spiega il funzionario.
La frase
“Per alcuni, vittoria è diventata una parola scomoda”.
Volodymyr Zelensky.
Geopolitica
Zelensky presenta il suo piano della vittoria - Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che oggi potrebbe partecipare al Consiglio europeo, ieri ha presentato il suo "piano della vittoria" al Parlamento di Kyiv, che dovrebbe costituire la base verso potenziali negoziati con la Russia. Il piano consiste in cinque punti, a cui se ne aggiungono altri tre tenuti "segreti" (ma condivisi con alcuni alleati). L'obiettivo è di rafforzare la posizione dell'Ucraina a sufficienza da porre fine alla guerra. Il punto più controverso è il primo: concedere a Kyiv l'invito a entrare nella Nato. Gli altri punti riguardano il rafforzamento della difesa (tra cui la fine delle restrizioni per colpire la Russia in profondità e operazioni congiunte con gli alleati per abbattere i missili e i droni russi), un pacchetto di deterrenza strategica non nucleare e il sostegno alla crescita economica del paese. "Se iniziamo a implementare questo piano della vittoria ora, potremmo essere in grado di porre fine alla guerra entro l'anno prossimo", ha detto Zelensky, ribadendo che non accetterà "congelamento" o concessioni "che scambino il territorio o la sovranità dell'Ucraina".
La Nato molto cauta sul piano della vittoria di Zelensky - “Ci sono molte dimensioni in questo piano, politiche e militari. Dobbiamo capirlo meglio, per vedere cosa possiamo fare e cosa non possiamo fare”. Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, si è mostrato cauto sul piano della vittoria presentato dal presidente ucraino. Giovedì sera, presso il quartier generale della Nato, è previsto un colloquio con il ministro della Difesa ucraino dopo l'incontro con le controparti dell'Alleanza. Anche Volodymyr Zelensky sarà a Bruxelles per il vertice europeo. La Nato e l'Ue sono consapevoli del clima da disfattismo sull'Ucraina. Secondo i diplomatici dell'Alleanza, l'Ucraina e i suoi leader sentono che il paese sta perdendo il sostegno degli alleati. I finanziamenti sono assicurati, ma le risorse militari degli alleati sono limitate e insufficienti, come le difese aeree. L'uso di alcune armi è soggetto a restrizioni per evitare il “rischio di escalation”, mentre Cina, Corea del Nord e Iran sostengono lo sforzo bellico russo. Secondo quanto riferito al Mattinale europeo, il presidente Zelensky chiede agli alleati di continuare a fornire il loro sostegno militare, ma di “fare le cose in modo diverso”. Una discussione sui “game changers” è prevista durante la riunione odierna dei ministri della Difesa. Questo spiega i commenti di Mark Rutte su “ciò che non possiamo fare”. Washington, Berlino e Londra si rifiutano di permettere agli ucraini di usare missili a lungo raggio per attacchi in profondità sul territorio russo. L'adesione dell'Ucraina alla Nato è l'altra richiesta che rischia di rimanere delusa. “L'Ucraina sarà un membro della Nato quando sarà il momento”, ha ripetuto Rutte. È un messaggio che gli ucraini hanno sentito spesso negli ultimi due anni.
Josep Borrell mette le cose in chiaro - “Abbiamo fatto troppo poco e troppo lentamente per l'Ucraina”, “L'impegno degli Stati Uniti per la sicurezza dell'Europa sta diventando sempre più incerto”, “La difesa e la sicurezza sono parte integrante del lavoro dell'Alto Rappresentante”, “L'Europa non può aspettare il 2028 e il suo prossimo bilancio pluriennale per finanziare gli investimenti nelle sue capacità di difesa”. Josep Borrell ha esposto una serie di riflessioni ieri a Bruxelles ai partecipanti alla quarta conferenza sulla difesa e la sicurezza, per lo più industriali, ricercatori e diplomatici. Non tutte le sue riflessioni sono state benevole nei confronti della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e delle sue ambizioni per il suo secondo mandato. Secondo lo spagnolo, il progetto di scudo missilistico dovrebbe essere concepito e gestito dai militari e quindi dagli Stati membri: “Non riesco a immaginare i burocrati di Berlaymont (la sede della Commissione) che gestiscono un progetto del genere”, ha detto. L'Alto rappresentante, che passerà il testimone all'ex primo ministro estone Kaja Kallas, ha deplorato il fatto che la guerra di Russia non sia stata vista come “una minaccia esistenziale”. “La guerra è stata una sveglia, ma molti europei non si sono ancora alzati dal letto”, ha avvertito. Per rilanciare la produzione industriale nel settore della difesa saranno necessari ingenti finanziamenti: 500 miliardi di euro in 10 anni. Per Borrell, non è possibile aspettare quattro anni e il prossimo bilancio pluriennale per trovare i fondi. “Dobbiamo anticipare le risorse e la soluzione è il debito, come nel caso del Covid”, ha detto. Una soluzione che Ursula von der Leyen non osa nemmeno prendere in considerazione, tanto è sgradita alla Germania e agli altri paesi frugali. “Possiamo aspettarci lunghe discussioni sul finanziamento della difesa europea”, è la previsione di Borrell.
Scholz favorevole a negoziati con Putin (ma non sulla testa dell'Ucraina) - Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, ieri ha detto di essere a favore di discussioni diplomatiche con la Russia per porre fine il più presto possibile alla guerra, anche se non “mai sopra la testa dell'Ucraina e solo in coordinamento con i nostri partner più stretti”. "Noi sosteniamo l'Ucraina e lo faremo finché sarà necessario", ha detto Scholz al Bundestag. Ma è necessario “fare tutto – oltre a sostenere chiaramente l’Ucraina – per trovare un modo per impedire che questa guerra continui”. Secondo Scholz, “se richiesto, è giusto che ne parliamo anche con il presidente russo”.
Vertice
Michel rivendica un successo nel vertice con il Consiglio di cooperazione del Golfo - Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ieri ha rivendicato un successo dopo che i leader dell'Ue e del Consiglio di cooperazione del Golfo hanno trovato un accordo su una dichiarazione comune che include impegni per approfondire le relazioni, ma anche una condanna della guerra della Russia contro l'Ucraina. Non era scontato. I paesi del Golfo avevano fatto resistenze a inserire un riferimento alla Russia, a cominciare dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Tuttavia gli europei non sono riusciti a ottenere impegni dei partner del Golfo sull'elusione delle sanzioni. Ci sono “opinioni diverse su alcune questioni”, ha ammesso una fonte dell'Ue. Sul Medio Oriente la dichiarazione del vertice sottolinea la necessità di cessate il fuoco sia a Gaza che in Libano, di rilasciare gli ostaggi e di rispettare il diritto internazionale e il diritto internazionale umanitario. Le due parti hanno chiesto all'Iran di perseguire una de-escalation regionale. I leader hanno detto di voler rafforzare i rapporti nei settori del commercio e degli investimenti, della connettività, dei contatti tra persone, della cooperazione energetica (compresa la lotta al cambiamento climatico) e sugli aiuti umanitari. "Siamo pronti a lavorare insieme per affrontare le sfide di domani", ha detto Michel.
Vertici delle famiglie in vista del vertice UE - Il presidente francese Emmanuel Macron parteciperà oggi al vertice dei leader di Renew a Bruxelles, mentre il suo primo ministro Michel Barnier sarà l'ospite d'onore del vertice dei leader del Partito Popolare Europeo, di cui è un ex membro degli organi direttivi. Ma il vertice più intrigante è quello dei leader della famiglia di estrema destra dei “Patrioti”. “Sarà il primo di quella che speriamo diventi presto una tradizione alla vigilia delle riunioni del Consiglio europeo. Solo Viktor Orban siederà per noi - per ora - ma sarà circondato da ministri e partiti di governo di altri Stati membri, nonché da potenziali primi ministri, capi di Stato e partner di coalizione”, ha annunciato il presidente dei Patrioti, Gerolf Annemans in un comunicato. La francese Marine Le Pen, presidente del RN, e Jordan Bardella, presidente del gruppo dei Patrioti al Parlamento europeo, saranno affiancati da Viktor Orban, l'italiano Matteo Salvini, leader della Lega, il ceco Andrej Babis, presidente del partito ANO, lo spagnolo Santiago Abascal di Vox , l'olandese Geert Wilders, presidente del PVV, il belga Tom Van Grieken del Vlaams Belang, l'estone Martin Helme, presidente dell'EKRE, l'austriaco Harald Vilimsky, capo della delegazione dell'FPO al Parlamento europeo e la greca Afroditi Latinopoulu, presidente di Foni Logikis. I Patrioti si riuniscono alla Maison de Hongrie, un edificio acquistato dal governo di Viktor Orban vicino al Palais Royal di Bruxelles. Tutto un simbolo.
Allargamento
La lumaca dell'adesione - L'Albania ha aperto martedì il primo capitolo dei suoi negoziati di adesione all'Unione Europea. Il caso albanese serve a mostrare la lentezza di un processo che, a questo ritmo, potrebbe non arrivare nemmeno a metà secolo. Rivediamo i candidati dei Balcani. L'Albania ha presentato la sua richiesta di adesione nel 2009. Nel 2012 la Commissione Europea ha raccomandato agli Stati membri di concederle lo status di paese candidato, cosa che è avvenuta nel 2014. Nel 2018 la Commissione ha chiesto di aprire i negoziati, che iniziano solo ora. Sono passati 15 anni. Il Montenegro ha chiesto l'adesione nel 2008. Nel 2010 ha ottenuto lo status di candidato e nel 2012 sono iniziati i negoziati. 16 anni dopo, tre dei 33 capitoli sono stati provvisoriamente chiusi. La Serbia ha chiesto l'adesione nel 2009 e ha ottenuto lo status di paese candidato nel 2012. I negoziati sono iniziati nel 2014. Quindici anni dopo, solo due dei 35 capitoli sono stati chiusi. La Macedonia del Nord ha chiesto l'adesione nel 2004 e nel 2005 era già paese candidato. Venti anni dopo, non è stato aperto alcun capitolo di negoziato. La Bosnia-Erzegovina ha chiesto l'adesione nel 2016 ed è paese candidato dal 2022. Nessun capitolo è stato aperto.
Digitale
X vince la battaglia per rimanere fuori dal DMA - La Commissione ieri ha deciso di non designare X come piattaforma “gatekeeper” (piattaforma principale) ai sensi del Digital Markets Act, permettendo così al social network di Elon Musk di sfuggire alle regole più stringenti della legge sui mercati digitali. Dopo un'indagine di mercato approfondita, la Commissione è giunta alla conclusione che X non deve essere considerato come un importante gateway tra aziende e consumatori, anche se il social network supera le soglie quantitative stabilite nel DMA. L'ego di Musk potrebbe prenderla sul personale. Ma la decisione permette a X di non dover rispettare gli obblighi e i divieti del DMA, come rendere i propri servizi interoperabili per i terzi, consentire agli utenti commerciali di accedere ai dati che generano utilizzando la piattaforma, non riservare ai propri servizi e prodotti un trattamento favorevole, ottenere il consenso degli utenti per il tracciamento degli annunci. Le sanzioni per le violazioni possono raggiungere fino al 10 per cento del fatturato annuo globale. X dovrà rispettare il Digital Services Act, ma la decisione sul DMA potrebbe segnare un cambio di rotta dopo la cacciata di Thierry Breton.
Green deal
La politica di adattamento climatico dell'Ue in ritardo - La politica di adattamento dell’Ue rischia di non stare al passo con i cambiamenti climatici, secondo una relazione pubblicata ieri dalla Corte dei conti europea. Nonostante l’Ue disponga di un solido quadro di riferimento per fronteggiare eventi climatici estremi come inondazioni, ondate di calore e siccità, secondo la Corte l’attuazione pratica delle politiche di adattamento pone dei problemi. Negli ultimi venti anni, il numero di catastrofi causate da eventi climatici e la gravità dei danni provocati hanno registrato un’impennata nell’Ue. In media, nell’ultimo decennio le perdite economiche sono ammontate a 26 miliardi di euro l’anno. La Corte dei conti ha analizzato le politiche di adattamento nazionali in Francia, Estonia, Austria e Polonia, Se sono coerenti con la strategia dell'Ue, gli auditor hanno anche rilevato casi di dati scientifici obsoleti e di costi delle misure di adattamento sottostimati oppure omessi. La Corte dei conti ha rinvenuto progetti in cui gli obiettivi di adattamento ai cambiamenti climatici si scontravano con altri obiettivi come la competitività o lo sviluppo regionale.
Accade oggi
Consiglio europeo
Banca centrale europea: conferenza stampa della presidente Lagarde al termine della riunione del Consiglio dei governatori a Lubiana
Parlamento europeo: conferenza stampa della presidente Metsola dopo il suo intervento al Consiglio europeo
Nato: riunione dei ministri della Difesa
Presidenza ungherese dell'Ue: riunione informale dei ministri del Commercio a Budapest
Commissione: la commissaria Simson in Islanda partecipa all’Assemblea del Circolo Artico
Corte di giustizia dell'Ue: sentenza sul ricorso contro la normativa italiana che fissa restrizioni per l’autorizzazione dei punti di vendita di tabacchi; sentenza sul ricorso di Sony contra un'azienda tedesca che produceva software per alterare PlayStation
Eurostat: dati sull'inflazione a settembre; dati sul commercio internazionale di beni ad agosto