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L'improbabile “Orbexit”
L'Ungheria di Viktor Orban ha ancora il suo posto dentro l'Unione europea? Quello che fino a poco tempo fa era un interrogativo che si ponevano solamente i militanti dei diritti umani, nelle ultime settimane sta diventando una questione scottante avanzata da ministri degli stati membri e responsabili delle istituzioni comunitarie. Da quando l'Ungheria ha assunto la presidenza di turno del Consiglio dell'Ue, agli abituali veti da parte del governo di Viktor Orban si sono aggiunti altri affronti che mettono a repentaglio gli interessi europei. Prima c'è stata la sedicente “missione di pace” durante la quale Orban ha promosso le posizioni della Russia di Vladimir Putin contro una pace giusta in Ucraina. Poi c'è stato il gran rifiuto della solidarietà europea offerta dalla Croazia per continuare a far arrivare il petrolio in Ungheria dopo la decisione di Kyiv di interrompere il transito di greggio di Lukoil. Infine c'è stata l'introduzione di un nuovo regime di ingresso in Ungheria per i cittadini russi e bielorussi che va contro le posizioni dell'Ue e potrebbe favorire l'arrivo di spie e agenti sabotatori. La pausa estiva per il momento consente alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, di evitare il tema. Ma a settembre la questione “Orbexit” potrebbe esplodere.
Il tema dell'uscita dell'Ungheria dall'Ue è stato posto dalla ministra degli Esteri finlandese, Elina Valtonen, e dal viceministro degli esteri della Polonia, Teofil Bartoszewski. “A un certo punto, varrebbe la pena chiedersi se l'Ue sia il giusto gruppo di riferimento (per l'Ungheria) se le idee differiscono in modo così fondamentale dai nostri valori comuni”, ha detto la finlandese Valtonen in un'intervista a fine luglio. “Non capisco davvero perché l'Ungheria voglia rimanere membro di organizzazioni che non le piacciono così tanto e da cui si sente maltrattata”, ha aggiunto il polacco Bartoszewski pochi giorni dopo: “Perché (Orban) non crea un'Unione con Putin e qualche altro stato autoritario di quel tipo?”.
E' la prima volta che dei ministri parlano in modo così esplicito di una possibile – o addirittura auspicabile - “Orbexit”. E' il sintomo della loro crescente frustrazione. L'Ungheria sta bloccando quasi 7 miliardi di euro di fondi dell'Ue destinati a finanziare le forniture di armi all'Ucraina, di cui almeno 500 milioni nella forma di rimborsi per la Polonia. Incontrando Putin a Mosca all'inizio della presidenza ungherese dell'Ue, Orban ha offerto un enorme regalo politico al presidente russo e violato tutte le regole interne sulla leale cooperazione. A ciò si aggiunge la creazione di un gruppo al Parlamento europeo – “I Patrioti per l'Europa” - che raccoglie buona parte dei partiti pro russi dell'Ue.
Una mini “Orbexit” potrebbe portare all'esclusione dell'Ungheria dall'area Schengen. Diversi governi hanno espresso grande irritazione per l'introduzione di una “Carta nazionale” che permette ai cittadini russi e bielorussi e ai loro famigliari di entrare in Ungheria senza controlli. Avrebbero anche il diritto di circolare liberamente negli altri paesi dello spazio Schengen. Dopo le proteste anche la Commissione è stata costretta a intervenire.
I permessi di soggiorno per russi e bielorussi non devono “mettere a rischio l'integrità della nostra area comune senza controlli alle frontiere interni”, né avere “potenziali implicazioni di sicurezza”, ha scritto la commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson, in una lettera al ministro dell'interno ungherese, Sandor Pinter. La “Carta nazionale” ungherese a russi e bielorussi “potrebbe portare a una elusione di fatto delle restrizioni che l'Ue ha imposto” dopo l'aggressione contro l'Ucraina. Johansson ha ricordato che la valutazione della minaccia posta da ciascun individuo è “un impegno” essenziale per appartenere all'area Schengen. Johansson aspetta una risposta entro il 19 agosto e minaccia “conseguenze appropriate”.
L'espulsione dell'Ungheria dall'area Schengen sarebbe una sanzione che va al di là dei gesti simbolici contro l'Ungheria, come il boicottaggio delle riunioni informali dei ministri organizzate dalla presidenza a Budapest. Eppure gli altri governi europei farebbero bene a criticare sé stessi di fronte alle derive sempre più gravi di Orban. All'Ue non mancano gli strumenti per neutralizzare i danni provocati da un paese che non rispetta lo stato di diritto e utilizza il veto per minare gli interessi comuni.
L'articolo 7 del trattato, evocato diverse volte dall'inizio della guerra della Russia contro l'Ucraina per togliere il diritto di voto e di veto all'Ungheria, non è mai stato usato fino in fondo, in parte per mancanza di coraggio. Gli altri governi avrebbero anche potuto togliere all'Ungheria la presidenza di turno del Consiglio dell'Ue, come avevano chiesto decine di deputati al Parlamento europeo. Il meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto che permette di congelare i fondi dell'Ue destinati agli stati membri è stato utilizzato dalla Commissione più come una “carota” per convincere Orban a togliere i veti sull'Ucraina che come un “bastone” per punire i suoi comportanti in violazione dei principi dell'Ue.
Se l'articolo 7 del trattato fosse stato usato, oggi non si parlerebbe di “Orbexit”. Nell'Ue non c'è alcuna regola che permette di cacciare uno stato membro contro la sua volontà. L'articolo 50 – che ha consentito al Regno Unito di andarsene dopo il referendum Brexit – è una decisione volontaria di uno stato membro. La stessa Elina Valtonen ha riconosciuto che “tocca allo stato membro farlo individualmente”. Finché sarà un beneficiario netto dei fondi dell'Ue - finché resterà un polo di attrazione di investimenti tedeschi e cinesi grazie all'appartenenza al mercato interno - l'Ungheria non se ne andrà da sola dall'Ue. Ma il problema Orban resta e prima o poi andrà affrontato.
Ci sono troppi interessi dell’industria tedesca perché si possa agire contro l’Ungheria