L'agricoltura, figlia viziata dall'Unione europea
Buongiorno! Sono David Carretta e con Christian Spillmann vi proponiamo il Mattinale Europeo, uno strumento per offrire analisi, contesto e prospettiva a chi è interessato all'Ue.
L'agricoltura, figlia viziata dall'Unione europea
Mentre migliaia di agricoltori di mezza Europa protestano con manifestazioni e blocchi stradali, Ursula von der Leyen ieri ha riunito trenta persone nella sala al tredicesimo piano del Bayrlemont in cui si tiene la riunione settimanale della Commissione. “Siamo tutti consapevoli che c'è crescente divisione e polarizzazione su temi legali all'agricoltura”, ha detto la presidente. “Credo che possiamo superare questa polarizzazione, spesso acuta, con il dialogo”. Von der Leyen ha elogiato gli agricoltori, i loro sforzi e i loro sacrifici, e promesso aiuto.
“E' grazie all'agricoltura europea – le donne e gli uomini che lavorano la terra – che l'Europa ha il cibo più salutare e di alta qualità al mondo. I nostri agricoltori operano su base quotidiana in un mercato globale molto competitivo e sono spesso la parte più vulnerabile della catena del valore. Meritate una remunerazione giusta per il vostro lavoro. Il nostro obiettivo è sostenere il vostro tenore di vita”, ha detto la presidente, lanciando il Dialogo strategico sul futuro dell'agricoltura in Europa, un'iniziativa annunciata nel suo discorso sullo Stato dell'Unione di settembre quando già si sentiva crescere il malcontento rurale nei confronti dell'Ue e delle sue politiche.
In realtà, il Dialogo voluto da von der Leyen sarà molto elitario. Attorno al tavolo la Commissione ha deciso di far sedere solo un gruppo selezionati di quelli che si chiamano "stakeholder". In gran parte sono le organizzazioni rappresentative interessate (i lobbisti europei di ciascuna categoria): per gli agricoltori da Copa-Cogeca a EuropaBio, per i consumatori la Beuc, per l'industria da FoodDrinkEurope, per i radical chic SlowFood, per la finanza la Bei, senza dimenticare tre poltrone per alcune associazioni ambientaliste, i giovani agricoltori di Rural Youth o l'Università olandese di Wageningen, polo di eccellenza per la ricerca del settore e grande beneficiario dei fondi Horizon dell'Ue.
Il Dialogo sarà presieduto da un professore tedesco, Peter Strohschneider, che aveva già presieduto il gruppo di lavoro governativo sul futuro dell'agricoltura in Germania. I trenta selezionati dovranno trovare “un nuovo consenso su questioni contro cui tutti lottiamo”, ha detto von der Leyen: “come possiamo migliorare il tenore di vita degli agricoltori e l’attrattiva delle comunità rurali? Come può l’agricoltura essere sostenibile entro i confini del pianeta? Come possiamo sfruttare meglio la conoscenza e la tecnologia? Come possiamo migliorare il sistema alimentare europeo per un futuro competitivo e prospero?”. Basterà per calmare la collera del mondo agricolo? C'è da dubitarne. Ma la rabbia degli agricoltori contro l'Ue è giustificata?
In realtà l'agricoltura e gli agricoltori sono i bambini viziati dell'Ue, beneficiari insaziabili di denaro pubblico, di eccezioni, di aiuti straordinari, ma mai soddisfatti del trattamento preferenziale che è loro riservato. L'Ue dice che il suo sostegno all'Ucraina è “incrollabile”, ma quando gli agricoltori entrano in gioco, questo sostegno inizia a crollare. Questa settimana il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, ha annunciato delle “salvaguardie” nazionali per permette ai governi di imporre dei mini-embargo sulle importazioni di cerali ucraini, malgrado il fatto che il regime di dazi zero e quote zero introdotto nel 2022 serva a sostenere l'economia dell'Ucraina a far fronte alla guerra della Russia.
Si tratta di sanare una situazione illegale di fatto, con Polonia e Ungheria che vietano l'importazione di prodotti ucraini da mesi in violazioni delle regole Ue. Ma anche di andare incontro a altri paesi, come Romania e Francia, nel momento in cui i loro agricoltori manifestano contro le importazioni ucraine, le tasse ambientali o la burocrazia della Politica agricola comune. La Commissione potrebbe reintrodurre le quote per i polli, le uova e lo zucchero in provenienza dall'Ucraina.
Germania, Francia, Romania, Polonia, Slovacchia, Spagna: da alcuni mesi pochi sono risparmiati dalla collera rurale. In ogni paese ci sono rivendicazioni nazionali che si mescolano a questioni direttamente o indirettamente legate all'Ue: il Green deal, i prezzi dell'energia, l'inflazione, la burocrazia per ricevere fondi dall'Ue, il ritorno dell'obbligo di mettere a riposo una percentuale delle terre coltivate, gli accordi commerciali (non ancora firmati) con il Mercosur o l'Australia.
I problemi degli agricoltori variano da paese a paese. In Francia, i blocchi sono gestiti da piccoli agricoltori i cui problemi non sono quelli dei coltivatori di cereali e di altri grandi produttori, che ricevono la maggior parte dei sussidi europei. I piccoli sono alle prese con i rimborsi dei prestiti, i costi energetici, le norme e la difficoltà di ottenere il sostegno europeo. Hanno la sensazione di trovarsi in una situazione di assistenzialismo. Secondo l'INSEE, l'istituto nazionale di statistica francese, i redditi degli agricoltori sono diminuiti del 40% in 30 anni e un agricoltore francese su cinque vive al di sotto della soglia di povertà.
Questo mix è politicamente esplosivo, tanto più che l'estrema destra sfrutta la collera rurale a meno di 140 giorni dalle elezioni europee. “Non potete ignorare la disperazione di quelli che hanno la bella e grande missione di nutrire i popoli d'Europa”, ha dichiarato Jordan Bardella, il leader del Rassemblement national francese, al Parlamento europeo la scorsa settimana, chiedendo all'Ue di dichiarare lo “stato d'emergenza agricolo”.
L'Ue non ha atteso Bardella per aiutare gli agricoltori. Il suo Green deal ha risparmiato il settore agricolo dagli obblighi più stringenti di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2030. La legge sulla restaurazione della natura è stata svuotata della sua sostanza. Le proposte sui pesticidi sono state bocciate. Pascal Canfin, presidente della commissione Ambiente al Parlamento europeo, ha ricordato in un'intervista a l'Opinion che "nessuno dei regolamenti ambientali nel settore agricolo legato al Green deal è ancora entrato in vigore" e che "alcuni sindacati agricoli” continuano a battersi contro proposte che non esistono più".
L'obbligo di messa a riposo dei terreni era stato introdotto con l'ultima riforma della Pac ufficialmente per ragioni ambientali, ma in realtà per far aumentare i prezzi dei prodotti agricoli che all'epoca erano particolarmente depressi. La sua sospensione è stata decisa all'inizio della guerra in Ucraina per permettere agli agricoltori di produrre di più, con prezzi agricoli già in crescita.
L'agricoltura è un nuovo esempio delle incomprensioni, delle battaglie di narrazioni e dello sfruttamento politico delle paure, di cui l'estrema destra è maestra. La destra tradizionale è preoccupata e da mesi cerca di ridarsi l'immagine di partito amico degli agricoltori. Il Partito Popolare Europeo ora alza la voce per difendere le cause di quella che un tempo era la sua base elettorale rurale. “Imporre agli agricoltori norme insostenibili, far abbassare la loro produzione, significa offrire parti del nostro mercato a un'alimentazione prodotta in paesi terzi che se ne infischiano delle esigenze ecologiche”, hanno accusato François-Xavier Bellamy e Anne Sander, due deputati francesi del PPE in un articolo pubblicato dal Figaro.
Vicini al potente sindacato agricolo francese FNSEA, i due eletti sono molto critici nei confronti di von der Leyen, che appartiene alla loro famiglia politica, usando gli stessi argomenti dell'estrema destra. L'operazione rischia di essere un'arma a doppio taglio, perché i miti e la disinformazione si autoalimentano: il Green deal non c'è ancora per gli agricoltori, ma fa paura, ed è stato promosso da von der Leyen e votato dal PPE.
L'altra paura viene dalla promessa di far entrare nell'Ue l'Ucraina, un gigante agricolo, che riempie già il mercato europeo con i suoi prodotti più competitivi e, dopo l'allargamento, assorbirà una parte consistente dei fondi della Pac. A bilancio costante, sarebbero 13,7 miliardi di euro l'anno, davanti alla Francia, con un taglio dei sussidi agricoli del 20 per cento per tutti gli altri.
Ci sono poi le paure dei piccoli agricoltori, i cui interessi non sono rappresentati dai grandi sindacati di diversi paesi, più attenti alle esigenze dei colossi. Non hanno più fiducia nelle istituzioni europee e si fanno attirare dalle sirene protezioniste e sovraniste delle formazioni anti-europee. Ma cosa può fare di più l'Ue? I ministri dell'Agricoltura, che spesso svolgono il ruolo di lobbisti dei lobbisti agricoli, questa settimana hanno chiesto più sussidi pubblici per gli agricoltori. Come se non ce ne fossero abbastanza tra pagamenti diretti, misure d'emergenza dell'Ue e aiuti di stato nazionali autorizzati da Bruxelles.
La politica agricola comune rappresenta un terzo del bilancio dell'Ue: 400 miliardi su 1.1200 miliardi per il 2021-27 vanno a un settore che vale l’1 per cento del Pil europeo. I francesi sono i più viziati con 65 miliardi pre-allocati. Gli italiani ne ricevono 38 miliardi. Secondo un rapporto pubblicato mercoledì dalla Commissione, 2,5 miliardi di euro di misure eccezionali sono stati allocati negli ultimi dieci ani per diverse urgenze (dall'influenza aviaria al calo dei prezzi, dall'aumento dei costi dell'energia ai cereali ucraini). Il quadro temporaneo degli aiuti di stato ha permesso ai governi di versare decine di miliardi supplementari agli agricoltori per le crisi del Covid-19 e della guerra in Ucraina.
Gli effetti si fanno sentire nelle tasche del settore agricolo. Secondo un documento pubblicato dalla Commissione in novembre, il reddito medio di un lavoratore agricolo è passato da 18,4 mila euro nel 2013 a 28,8 mila euro nel 2021 (43 mila euro in Francia e 36 mila in Italia). E' un aumento del 56 per cento ben superiore all'inflazione o all'aumento del reddito di ogni altra categoria meno contestataria e meno viziata dall'Ue. E' questa manna che gli agricoltori rifiutano di perdere.
Ps: la foto che abbiamo pubblicato sui social network è di una manifestazione degli agricoltori che si era tenuta a Bruxelles nel 1971. Sicco Leendert Mansholt è stato partigiano, agricoltore e politico olandese. Commissario all'Agricoltura e presidente della Commissione è considerato uno dei padri della Politica agricola comune dell'Ue. (Fotograaf Onbekend / Anefo, CC0, via Wikimedia Commons).
La frase
“Dopo il 7 ottobre il ritorno dell'antisemitismo significa che l'odio del passato è di nuovo tra noi. Gli ebrei non si sentono di nuovo più sicuri nel vivere in Europa. Dopo l'Olocausto, questo dovrebbe essere inaccettabile. 'Mai più' dovrebbe davvero significare 'MAI PIU'”.
Irene Shashar, originaria del ghetto di Varsavia e sopravvissuta all’Olocausto, davanti al Parlamento europeo durante la sessione speciale in occasione della Giornata della Memoria.
Memoria
Il Giorno della Memoria al Parlamento europeo - Il Parlamento europeo ieri ha commemorato il Giorno della Memoria con una sessione plenaria speciale a cui ha preso parte Irene Shashar, originaria del ghetto di Varsavia e sopravvissuta all’Olocausto. Nata 1937 come Ruth Lewkowicz, Irene Shashar fuggì dal ghetto con la madre, dopo che il padre fu ucciso dai nazisti, riuscendo a nascondersi per il resto della guerra. Oggi vive a Modiin in Israele. Nel 2023 ha pubblicato la sua biografia “Ho vinto contro Hitler”. L'intervento di Shashar ha provocato una forte emozione tra i parlamentari. "Nel Giorno della Memoria dell'Olocausto, ricordiamo l'importanza di condividere storie come la tua, oggi e per le generazioni a venir, e. di proteggere i nostri valori", ha detto la presidente Roberta Metsola, rivolgendosi a Shashar. "La storia dell’Europa è una storia di ideali e di valori. Si tratta di superare la tragedia. Di costruire ponti tra le persone. Di trasformare i nemici in partner e amici. Di costruire dalle ceneri, ha detto Metsola. "Dobbiamo continuare a ricordare la storia dell’Europa, a ricordare i suoi orrori e a far tesoro dei risultati ottenuti nel superarli. Per capire da dove veniamo e perché. E per insegnare queste lezioni ai nostri figli".
Meno 6 giorni al vertice
Un miliardo di dollari di chip finiti in Russia malgrado le sanzioni - Lo scorso anno la Russia ha importato più di un miliardo di dollari di chip avanzati prodotti negli Stati Uniti o nell'Unione Europea, nonostante le sanzioni imposte per impedire a Mosca di comprare tecnologia che può essere usata nella sua guerra contro l'Ucraina. Lo scoop è di Bloomberg, che ha ottenuto dati segrei delle dogane russe, secondo i quali più della metà dei semiconduttori e dei circuiti integrati importati nei primi nove mesi del 2023 sono stati prodotti da imprese statunitensi ed europee. Non ci sono indicazioni che queste società abbiano violato le restrizioni occidentali. Ma i dati mostrano la difficoltà degli Stati Uniti e dell'Ue nell'impedire l'elusione delle loro sanzioni. Diversi studi sulle armi russe recuperate sul campo di battaglia mostrano il continuo utilizzo da parte della Russia di componenti occidentali per la loro fabbricazione. Gran parte delle tecnologie soggette a sanzioni entrano in Russia attraverso le riesportazioni da paesi terzi come Cina, Turchia ed Emirati Arabi Uniti. L'Ue, che sta lavorando al tredicesimo pacchetto di sanzioni, ha messo sulla sua lista nera una manciata di società di paesi terzi per aver eluso le sanzioni, ma non ha ancora voluto ricorrere a un nuovo strumento che permetterebbe di vietare le esportazioni di alcune tecnologie specifiche verso i paesi che tollerano le riesportazioni in Russia.
La consultazione bulgara di Orban dà ragione a Orban - Il Mattinale è una newsletter franco-italiana e a volte ci è difficile rendere in una lingua il senso di un'espressione di un'altra lingua. Vale per "maggioranza bulgara", che in italiano significa un risultato vicino al 100 per cento dopo un voto farsa, come ai tempi della Bulgaria comunista. Come definire altrimenti i risultati della consultazione popolare condotta da Viktor Orban? Il 98,8 per cento degli ungheresi che hanno risposto vogliono mantenere i sussidi per i prezzi dell'energia. Il 98 per cento vuole mantenere il tetto ai tassi di interesse. Il 99,3 per cento non vuole ghetti di migranti in Ungheria. Il 99,3 vuole mantenere gli ogm vietati nel paese. Tutti i quesiti posti nella consultazione sono diretti contro l'Ue in nome della "difesa della nostra sovranità". Ma, per quanto sia un processo ridicolo (non è un referendum, ma una sorta di sondaggio volontario via posta) tre domande/risposte potrebbero essere usate da Orban al vertice straordinario del primo febbraio per giustificare il suo veto sugli aiuti finanziari all'Ucraina. Il 99,3 per cento dei rispondenti ha detto che vuole un cessate il fuoco, non forniture di armi. Il 99,1 per cento dice che l'Ungheria non deve dare sostegno finanziario all'Ucraina fino a quando non riceverà più soldi dall'Ue. Il 99 per cento ritiene che Kyiv non rispetti ancora le condizioni per la piena adesione all'Ue.
Nato
L'imbroglio ungherese sull'adesione della Svezia alla Nato - Viktor Orban non è onnipotente in Ungheria. O almeno così vorrebbe farci credere. Mercoledì scorso, il primo ministro ungherese si è impegnato con Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, a "sollecitare l'Assemblea nazionale a votare a favore dell'adesione della Svezia e a concludere la ratifica al più presto". L'unico problema è che il Presidente del Parlamento, Lazlo Köver, è contrario all'adesione. Lo ha dichiarato in un'intervista al portale di notizie ungherese Index, lasciando intendere che i deputati del Fidez non sosterranno la richiesta dell'opposizione di una sessione parlamentare straordinaria per ratificare l'accordo. La sessione primaverile del Parlamento ungherese inizia il 26 febbraio e il suo Presidente non vede alcun motivo per affrettarsi a ratificare l'adesione della Svezia, i cui leader i cui leader sono accusati di non mostrare alcuna considerazione per l'Ungheria. "Qualcuno deve essere l'ultimo", ha detto Köver.
Migranti
Verso la fine della protezione temporanea per gli ucraini - In una riunione informale ieri, i ministri dell'Interno dell'Ue hanno iniziato a discutere se porre fine alla protezione temporanea per gli ucraini fuggiti dalla guerra a marzo del 2025. L'orientamento che sta emergendo è quello di “un approccio orientato al rimpatrio”, come lo ha definito la commissaria Ylva Johansson. “Legalmente è possibile estendere la protezione temporanea”, ma “dobbiamo riflettere a diversi scenari e esplorare quali misure prendere sia sulla protezione temporanea se necessario sia su come aiutare i profughi a ricostruire il loro futuro”, ha detto il segretario di stato belga all'immigrazione, Nicole de Moor. La richiesta di porre fine alla protezione temporanea verrebbe dalla stessa Ucraina, che ha bisogno di uomini e donne per sostenere lo sforzo di guerra e la crescita economica. Sia de Moor sia Johansson hanno insistito che la decisione sarà presa in cooperazione con Kyiv. “Tutto dipende da quando e come finirà la guerra e quando inizierà al ricostruzione. Questo non è ancora chiaro”, ha precisato Johansson.
Finlandia
Stubb contro Haavisto nella corsa presidenziale in Finlandia - Domenica gli elettori andranno alle urne in Finlandia per eleggere il loro prossimo presidente, dopo i due mandati di Sauli Niinistö. Gli ultimi sondaggi, danno il candidato dei Moderati, Alexander Stubb, in testa con il 22-27 per cento dei voti, davanti al verde Pekka Olavi Haavisto. Entrambi sono vecchie conoscenze dell'Ue. Stubb è stato primo ministro, ministro delle Finanze, ministro degli Esteri, vicepresidente della Bei, prima di diventare direttore della Scuola di governance transnazionale dell'Istituto Universitario Europeo. Haavisto è stato ministro degli Esteri particolarmente apprezzato. Ci sono altre due conoscenze dell'Ue tra i candidati. L'ex commissario ed ex presidente della Banca centrale finlandese, Olli Rehn, corre per il Partito di Centro. L'attuale commissaria alle partnership internazionali, Jutta Urpilainen, è la candidata del Partito Socialdemocratico. Ma entrambi hanno poche probabilità di arrivare al ballottaggio. I sondaggi attribuiscono a Rehn tra il 10 e il 14 per cento e a Urpilainen circa il 5 per cento. Il terzo incomodo di una sfida Stubb-Haavisto è il candidato del partito di estrema destra dei Finlandesi, Jussi Halla-aho. Anche lui ha un passato a Bruxelles - è stato deputato europeo tra il 2014 e il 2019 - anche se è molto meno conosciuto nell'Ue. I sondaggi gli attribuiscono circa tra il 14 e il 18 per cento dei voti, ma in crescita negli ultimi giorni. Il probabile secondo turno si terrà l'11 febbraio.
Euro
Per Lagarde, la disinflazione è in corso - Il Consiglio dei governatori della Bce ieri non ha toccato i tassi di interessi, ma la sua presidente Christine Lagarde ha lasciato intendere che potrebbero essere tagliati in un prossimo futuro. La frase chiave della conferenza stampa è stata questa: “il processo di disinflazione è in atto”. Secondo Lagarde, la ripresa dell'inflazione attesa è “più debole del previsto” e le pressioni sui prezzi “si allenteranno ulteriormente nel corso dell’anno”. Anche l'aumento dei salari e la minora produttività vanno “in una direzione buona”. Per contro la Bce sta monitorando “con molta attenzione” la situazione in Medio Oriente, che sta portando a aumento dei costi di trasporto e ritardi nella catena di approvvigionamento.
Accade oggi
Presidenza belga dell'Ue: riunione informale dei ministri della Giustizia
Commissione: discorso della presidente von der Leyen al Summit sul clima di Amburgo
Commissione: discorso del vicepresidente Dombrovskis a una conferenza sui 10 anni nell’euro della Lettonia
Commissione: visita della commissaria Ivanova in Estonia; incontro con il premier Kaja Kallas
Consiglio: riunione del Coreper I
Eurostat: conti delle famiglie nel terzo trimestre 2023; prezzi dei terreni agricoli nel 2022