Buongiorno! Sono Christian Spillmann e, insieme a David Carretta, vi presentiamo Il Mattinale Europeo.
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Orbán il "dittatore" minaccia la democrazia europea
La stella di Viktor Orbán sta sbiadendo. Il primo ministro ungherese ha un vero oppositore. Peter Magyar mobilita le folle e il suo partito, Tisza, è in testa nelle intenzioni di voto. Il Fidesz è superato da Tisza di 14 punti (37-51%), secondo l'ultimo sondaggio realizzato ad aprile. Orbán ammetterà la sconfitta e cederà il potere, se verrà battuto alle elezioni generali all'inizio del 2026? Nulla è meno certo. Donald Trump, il suo mentore, è pronto a violare la Costituzione americana per un terzo mandato e calpesta lo Stato di diritto. La campagna in Ungheria è lanciata e le accuse mosse contro Magyar sono preoccupanti. L'Ue rimarrà in silenzio se Orbán agirà come Lukashenko in Bielorussia o Erdogan in Turchia per mantenersi al potere?
Un leader europeo denuncia i piani di Viktor Orbán: il primo ministro polacco, Donald Tusk. I due uomini non si amano. Tusk ha ottenuto l'esclusione di Fidesz e di Orbán dal Partito Popolare Europeo (PPE) nel 2021 durante la sua presidenza della famiglia conservatrice. Orbán si è effettivamente ritirato dal PPE per evitare l'umiliazione di un'esclusione. Donald Tusk ora vuole vederlo lasciare l'Ue.
"Il primo ministro Orbán parla oggi apertamente dell'uscita dell'Ungheria dall'Unione europea", ha scritto Tusk in un messaggio in polacco pubblicato su X il 24 aprile. Orbán gli ha risposto immediatamente: "Caro Donald, non farti troppe illusioni. L'Ungheria non lascerà l'Ue. La trasformeremo con i Patrioti per riportarla a com'era un tempo, quando Polonia e Ungheria hanno aderito. A quel tempo, i burocrati di Bruxelles servivano il popolo invece che sé stessi. Non interferivano nei dibattiti politici interni degli Stati membri, come fanno oggi in Polonia e in Ungheria". Donald Tusk esprime pubblicamente l'esasperazione degli altri leader dell'Ue di fronte al comportamento di Orbán e al suo allineamento in nome della pace alle posizioni di Putin e Trump sulla guerra condotta da Mosca contro l'Ucraina.
"Ciao dittatore". La formula di Jean-Claude Juncker è associata a Viktor Orbán dal vertice del Partenariato orientale del 22 maggio 2015 a Riga in Lettonia. L'ex primo ministro del Lussemburgo, nominato a capo della Commissione un anno prima, aveva pronunciato quelle parole accompagnandole con una pacca sulla spalla. Come se fosse un semplice scherzo. Orbán era stato al gioco. Ma Juncker aveva agito deliberatamente. "Tutto è calcolato, tutto ha un doppio senso", aveva confermato all'epoca il suo portavoce. Jean-Claude Juncker riteneva che Viktor Orbán non avesse più posto nel PPE. Ma il primo ministro ungherese godeva della protezione della cancelliera Angela Merkel con il sostegno dei suoi amici del Partido Popular spagnolo, ci aveva spiegato all'epoca un leader del PPE sotto copertura dell'anonimato. Tutte le richieste di escluderlo dal partito e dal gruppo erano state respinte dalle due più grandi delegazioni della famiglia. Orbán era considerato "l'enfant terrible", ma tenerlo nel PPE permetteva di controllarlo, si giustificava Merkel.
La protezione è durata 20 anni. Ma Viktor Orbán ha tirato troppo la corda. Le sue parole e decisioni sono diventate incompatibili con i valori su cui si fonda il PPE, che ha abbandonato nel 2021. da allora Orbán si è radicalizzato. È diventato anti-europeo e odia i rappresentanti della sua ex famiglia politica, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del PPE, Manfred Weber, bersagli dei suoi attacchi e di una campagna denigratoria in un finto referendum sull'adesione dell'Ucraina all'Ue (in realtà è un questionario inviato ai cittadini).
Ma il suo ricatto permanente stanca. Il governo ungherese è sotto la procedura dell'articolo 7 che può essere usato per privare i diritti di voto al Consiglio dell'Ue in caso di continue violazioni dello Stato di diritto. Una parte dei fondi europei di cui il paese potrebbe beneficiare sono congelati. Orbán si guarda bene dal seguire la strada dell'uscita dall'Ue, come ha fatto il Regno Unito, perché i suoi compatrioti non vogliono andarsene. Per contro, l'ungherese utilizza tutti i mezzi, in particolare il suo diritto di veto, per paralizzare la macchina. L'Unione europea ha previsto la possibilità per uno Stato membro di lasciarla volontariamente con l'articolo 50 del trattato. Ma non ha previsto la possibilità di escludere uno Stato membro.
Ora la speranza di liberarsi di Orbán dipende dalle elezioni generali di inizio 2026. Un uomo incarna il cambiamento: Peter Magyar, 44 anni. Ex membro del Fidesz, di cui è diventato un esponente importante grazie a sua moglie Judit Varga, ha lasciato il partito nel febbraio 2024 a seguito di uno scandalo che è costato il posto alla presidente dell'Ungheria, Katalin Novak, e a Varga, ministro della Giustizia. Magyar ha divorziato, è entrato nell'opposizione, ha denunciato la corruzione massiccia e l'arricchimento dei membri del primo cerchio di Viktor Orbán e ha creato Tisza (Rispetto e Libertà). Magyar è eletto deputato europeo nel giugno 2024 con altri sei membri del suo partito ed ha aderito al PPE, dove è diventato il protetto di Manfred Weber.
Tisza si sta imponendo come un'alternativa al Fidesz. Da marzo è in testa nelle intenzioni di voto. Orbán è sulla difensiva. "Il partito Tisza non è un partito ungherese. È un partito di Bruxelles", accusa il primo ministro. "L'abbiamo visto con i nostri occhi, l'abbiamo sentito con le nostre orecchie: il partito Tisza e Bruxelles hanno cospirato contro il popolo ungherese. Hanno accettato di distruggere l'economia, il sistema sanitario e il tenore di vita dell'Ungheria solo per permettere al partito Tisza di accedere al potere. È un giorno buio per la democrazia ungherese", ha dichiarato Orbán, giocando sulla fibra anti-europea dei suoi sostenitori.
I suoi scagnozzi rilanciano l'argomento e moltiplicano gli attacchi personali contro Magyar. "Il prezzo d'ingresso nel PPE? Una conformità ideologica totale. Pro-guerra, pro-Bruxelles, pro-LGBTQ: questi sono i requisiti. Péter Magyar e il partito Tisza esistono per servire questo programma, che è dettato loro da Manfred Weber", afferma Zoltan Kovacs, il portavoce di Orbán. In un altro messaggio su X, Kovacs denigra Magyar. "Ha rubato un telefono che ha poi gettato nel Danubio dopo una serata ben innaffiata in discoteca. Ma ovviamente, la sua immunità parlamentare non durerà per sempre...".
Alcune voci in Ungheria sono preoccupate per la piega che sta prendendo il duello tra Orbán e Magyar. "Mentre tutti i sondaggi credibili mostrano che il Fidesz di Orbán è molto indietro rispetto al Tisza di Péter Magyar, le discussioni in Ungheria si concentrano sulla questione se Orbán potrebbe cercare di mettere in carcere o bandire il suo rivale, come in Turchia. La vera domanda oggi è: l'Ungheria organizzerà elezioni libere ed eque nel 2026? E Orbán lascerà il potere?", si chiede il giornalista ungherese, Szabolcs Panyi, caporedattore di VSquare e collaboratore del sito Direkt 36. Viktor Orbán governa l'Ungheria dal 2010. Le elezioni sono state libere ma non eque. Con la sua maggioranza di due terzi, ha modificato la legge elettorale diverse volte, sempre a favore del suo partito.
"Osserviamo una tendenza preoccupante a una nuova erosione dello Stato di diritto in Ungheria, in particolare per quanto riguarda l'indipendenza del potere giudiziario, la libertà dei media, la libertà accademica e lo spazio critico della società civile", ha denunciato una delegazione di deputati europei della commissione Libertà civili del Parlamento europeo al termine di una missione a Budapest dal 14 al 16 aprile. "È il regime illiberale di Orbán: un sistema autoritario che calpesta i principi fondamentali dello Stato di diritto e sfugge a qualsiasi sanzione", ha affermato la deputata europea italiana Ilaria Salis. Risposta di Zoltan Kovac: “Non è sorveglianza. È una campagna di diffamazione politica (...) L'Ungheria non riceve ordini da criminali in giacca e cravatta”.
“Se uno Stato membro può privare i propri cittadini dei loro diritti, vietare l'espressione pubblica e contravvenire ai propri obblighi internazionali senza conseguenze, allora l'intero progetto europeo è in pericolo”, avverte l'ungherese David Koranyi, presidente di Azione per la democrazia in un articolo pubblicato da Politico.
La frase
“Non ci devono essere dubbi sulla nostra posizione. Vale a dire senza se e senza ma dalla parte dell'Ucraina e quindi dalla parte di tutti i cittadini europei che si impegnano per la democrazia e lo stato di diritto, per la libertà e una società aperta”.
Friedrich Merz, leader della CDU e futuro cancelliere della Germania.
Geopolitica
Putin annuncia una tregua di tre giorni – Il leader russo, Vladimir Putin, ieri ha annunciato un cessate il fuoco di tre giorni dal 8 al 10 maggio in occasione dell'ottantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale. Il 9 maggio, sulla piazza del Cremlino, sarà celebrata la vittoria nella Grande guerra patriottica. Putin ha invitato l'Ucraina a "unirsi al cessate il fuoco". In caso contrario, "le forze armate russe daranno una risposta adeguata ed efficace". E' la risposta del leader russa alla pressione minima che Donald Trump ha esercitato con i post sul social media Truth dopo l'incontro con Volodymyr Zelensky a Roma sabato? Il presidente americano si farà nuovamente ingannare da Putin? Trump ha detto che preferisce un cessate il fuoco "permanente". L'Ucraina ha chiesto alla Russia di accettare immediatamente un cessate il fuoco "globale" per almeno 30 giorni. La Corea del Nord ieri ha riconosciuto ufficialmente il suo coinvolgimento diretto nella guerra al fianco della Russia. Putin ha ringraziato “i nostri amici coreani (che) hanno agito sulla base del senso di solidarietà, giustizia e cameratismo vero”.
Lavrov fissa le stesse precondizioni dell'inizio della guerra – Al di là del coinvolgimento diretto della Corea del Nord, c'è un ulteriore prova del fatto che Vladimir Putin non abbia alcuna intenzione di porre fine alla guerra senza una capitolazione dell'Ucraina. In un'intervista al media brasiliano O Globo, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha elencato le condizioni per porre fine alla guerra. "Restiamo aperti al negoziato", ma "la nostra posizione sull'accordo è ben nota. Partiamo dal presupposto che la non adesione di Kiev alla Nato e la conferma del suo status neutrale e non allineato (…) costituiscono una delle due basi per una soluzione definitiva della crisi ucraina che soddisfi gli interessi di sicurezza della Russia. Il secondo è superare le conseguenze del governo neonazista di Kyiv, formatosi in seguito al colpo di stato del febbraio 2014, comprese le sue azioni volte a sterminare legislativamente e fisicamente l'intera lingua, i media, la cultura, le tradizioni e la chiesa ortodossa russi". Lavrov ha anche chiesto il riconoscimento della Crimea e degli altri quattro oblast ucraini annessi dalla Russia, la "smilitarizzazione" dell'Ucraina, "la revoca delle sanzioni" e "la restituzione dei beni russi congelati in Occidente". La Russia vuole anche imporre una nuova architettura di sicurezza all'Europa e alla Nato. "Cercheremo garanzie affidabili sulla sicurezza della Federazione Russa contro le minacce create dalle attività ostili della Nato, dell'Unione Europea e dei loro singoli Stati membri ai nostri confini occidentali", ha detto Lavrov. Sono tutte le condizioni poste da Putin prima e dopo l'invasione del 24 febbraio 2022.
Il blocco pro russo dell'Ue contro la fine del diritto di veto - Il premier ungherese, Viktor Orban, e il suo omologo slovacco, Robert Fico, ieri si sono espressi contro la fine della regole dell'unanimità nell'Unione europea, nel momento in cui cresce l'irritazione dei partner per i veti dell'Ungheria sul processo di adesione dell'Ucraina e le sanzioni contro la Russia. "Immaginate se in politica estera non fosse richiesta l'unanimità (...). Potremmo essere trascinati in una guerra, cosa che né i nostri cittadini né i nostri governi vorrebbero", ha detto Orban, accusando l'Ue di "negare la sovranità dei nostri Stati". Secondo Fico, "l'abolizione del veto è un passo verso l'abolizione dell'Unione". Nell'incontro di ieri a Bratislava i due dirigenti hanno promesso di sostenersi reciprocamente e ribadito le loro posizioni favorevoli alla Russia nella guerra di aggressione contro l'Ucraina.
Spagna
Spagna e Portogallo paralizzati da un blackout - Intorno alle 12.30 di ieri, in Spagna si è verificata una massiccia interruzione di corrente che ha provocato un caos diffuso. Il blackout ha bloccato tutto il traffico ferroviario, ha avuto ripercussioni sul traffico aereo, ha causato disagi ai trasporti pubblici, ha bloccato i servizi di pagamento, ha costretto gli ospedali a ricorrere ai generatori e a rimandare le operazioni, e ha persino spento i semafori in molte aree. Anche il Portogallo e alcune regioni francesi di confine sono state private dell'elettricità a causa di questo blackout, durato solo pochi minuti in alcune zone della Spagna, la cui causa è attualmente sconosciuta. La società elettrica Red Eléctrica sta indagando. Il governo ha convocato il Consiglio di sicurezza nazionale, l'organo incaricato di assistere il primo ministro nella direzione della politica di sicurezza nazionale e del sistema di sicurezza nazionale. È stata avanzata la possibilità di un attacco informatico, ma non è stata confermata. Red Eléctrica ha dichiarato che il blackout è stato “eccezionale e del tutto straordinario”. “Non escludiamo nessuna ipotesi”, ha dichiarato il capo del governo Pedro Sanchez in una conferenza stampa. Secondo il Consiglio per la sicurezza nucleare (CSN), le centrali nucleari del Paese (cinque dei sette reattori in funzione) hanno smesso di produrre e fornire elettricità alla rete per motivi di sicurezza. La Francia ha fornito assistenza ed elettricità. La fornitura ha iniziato a essere ripristinata nel tardo pomeriggio di ieri nel nord e nel sud della penisola, ma ci sono volute diverse ore perché la corrente tornasse alla normalità. Il blackout non ha interessato le Isole Canarie e le Isole Baleari, le cui reti sono autonome.
Germania
Merz assume nel settore privato per i ministeri economici della CDU - Il futuro cancelliere Friedrich Merz ieri ha annunciato i nomi dei prescelti dall'Unione CDU-CSU per occupare i posti di ministri nel suo prossimo governo. Alcuni erano già noti. Johann Wadephul della CDU andrà a dirigere il ministero degli Esteri. Alezander Dobrindt della CDU prenderà la testa del ministero dell'Interno. Altre due nomine hanno creato sorpresa. Katherina Reiche, attuale amministratore delegato di Westenergie, una sussidiaria del gigante dell'energia E.ON, diventerà il prossimo ministro dell'Economia. Karsten Wildberge, attuale presidente del gruppo Media Markt/Satrun, con un passato in E-EO, Telstra, Vodafone e Duetsche Telekom, sarà il nuovo ministro per la Digitalizzazione e la modernizzazione. Gli altri prescelti della CDU sono Patrick Schnieder (Trasporti), Karin Prien (Istruzione) e Nina Warken (Salute). Quelli della CSU sono Dorothee Bär (Ricerca e spazio) e Alois Rainer (Agricoltura). Gunther Krichbaum avrà il ruolo di sottosegretario di stato per gli Affari europei.
PPE
Il Congresso di Valencia di fronte al dilemma grande coalizione in Germania – Il Partito Popolare Europeo (PPE) oggi si riunirà a Valencia in Spagna per un Congresso che consacrerà la presa del tedesco Manfred Weber sulla più grande famiglia politica europea. Dopo essere uscito rafforzato nelle elezioni europee del 2024, Weber completerà la sua impresa di fondere il partito e il gruppo parlamentare del PPE. Ma il Congresso di Valencia mette il PPE di fronte a un dilemma. Negli ultimi due anni Weber ha perseguito una politica a geometria variabile, con alleanze tattiche con i gruppi dell'estrema destra al Parlamento europeo. Il partito polacco Piattaforma civica, che è uno dei membri più importanti del PPE, contesta apertamente la scelta di Weber. Nei corridoi di Bruxelles in molti si interrogano se il ritorno della grande coalizione tra la CDU-CSU e la SPD con Friedrich Merz come cancelliere a Berlino cambierà i calcoli di Weber. In ogni caso, Valencia è una sede imbarazzante per il PPE. Il leader regionale del Partido Popular, Carlos Mazon, si è alleato al partito di estrema destra VOX e si è lanciato in un duro attacco contro il Green deal di Ursula von der Leyen.
Conclave
Un conclave, due chiese - Il conclave per designare il successore di Papa Francesco inizierà il 7 maggio, ha annunciato il Vaticano. I contendenti sono molti, e tutti hanno in mente un detto: “Chi entra in conclave come papa esce come cardinale”. Due papabili incarnano l'ala più conservatrice della Chiesa e si oppongono a Francesco: il primo è il cardinale guineano Robert Sarah, il secondo è il cardinale ungherese Péter Erdo, che deve molto a Giovanni Paolo II. I 135 elettori dovranno scegliere tra il proseguimento dell'eredità di Francesco, che ha nominato 108 di loro cardinali, e l'arretramento della Chiesa voluto dal vicepresidente ultraconservatore degli Stati Uniti, JD Vance, ultimo visitatore di Francesco. “Il timore di tutti i cardinali è che una parte di loro propenda per l'eredità di Papa Francesco, e l'altra per i cardinali Sarah e Vance. È la paura di una rottura della Chiesa cattolica, perché tra 30 anni ci saranno due Chiese cattoliche”, analizza l'esperto vaticanista Bernard Lecomte. “Credo che qualsiasi cosa accada al conclave, alla fine si troverà colui che sarà il più unificante”, assicura Lecomte. I conclavi sono sempre fonte di speculazioni, voci e aspettative. La fumata bianca attesa in Vaticano sarà l'inizio della suspense. Dovremo aspettare ancora un po' per scoprire chi sarà eletto Papa e quale sarà il suo nome.
Migranti
La criminalizzazione di chi aiuta i migranti in crescita nell'Ue – Secondo un rapporto della Piattaforma per la cooperazione internazionale sui migranti irregolari (PICUM), nel 2024 almeno 142 persone sono state sottoposte a procedimenti giudiziari penali negli Stati membri dell'Ue per aver prestato soccorso a migranti. Nella maggior parte dei casi l'accusa formulata è di favoreggiamento dell'ingresso, del soggiorno o del transito o di traffico di migranti. Il trend è in aumento (nel 2023 117 erano state perseguite nel 2023 contro le 102 del 2022) e il dato è sottostimato per la mancanza di dati statistici e ufficiali. Il rapporto di PICUM si basa sul monitoraggio dei media. "Questo è il quarto anno consecutivo che documentiamo livelli crescenti di criminalizzazione sia dei migranti che di coloro che li aiutano. E ciò che siamo in grado di monitorare è solo la punta dell'iceberg", spiega l'autrice dello studio Silvia Carta. La maggior parte delle persone sotto procedimento penale si trovava in Grecia (62), Italia (29), Polonia (17) e Francia (17). Altri casi sono stati registrati in Bulgaria, Cipro, Malta e Lettonia. Complessivamente 88 sono state perseguite per aver soccorso o aiutato migranti in difficoltà in mare, 21 per aver fornito cibo, acqua o vestiario, e 17 per proteste e manifestazioni. In Polonia, cinque persone che fornivano aiuti umanitari al confine tra Polonia e Bielorussia rischiano condanne fino a cinque anni di carcere.
Criminalizzare i migranti accusandoli di essere trafficanti – C'è un caso emblematico citato nel rapporto di PICUM. E' quello della militante e regista curdo iraniana, Maysoon Majidi, che ha trascorso 302 giorni in custodia cautelare in Italia per l'accusa di traffico di esseri umani. La sua colpa? Nel 2023 aveva lasciato l’Iran per sfuggire alla repressione. Il 31 dicembre di quell'anno era arrivata in Italia sulle coste della Calabria, dove è stata accusata di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e indicata come scafista. Maysoon Majidi è stata assolta il 5 febbraio 2025. L'84 per cento dei casi censiti riguarda persone accusate di aver guidato un'imbarcazione o un veicolo attraverso una frontiera. Spesso la persona in questione è semplicemente un passeggero o ha distribuito cibo e acqua, usato un telefono e una mappa in mare, o aiutato in situazioni difficili. PICUM sottolinea che gran parte di questi procedimenti giudiziari si conclude con l'assoluzione. Nel 2024, su 41 delle 43 persone perseguite sono state assolte o le accuse contro di loro sono state ritirate.
La palla al Parlamento europeo - "La criminalizzazione della solidarietà con i migranti è profondamente legata alla criminalizzazione della migrazione stessa. Non si tratta di due questioni separate, ma di un continuum di politiche migratorie restrittive che rendono pericoloso l'attraversamento delle frontiere e creano un ambiente ostile nei confronti di coloro che sono considerati entrati in modo irregolare", spiega Silvia Carta di PICUM. E le cose rischiano solo di peggiorare con la proposta presentata nel novembre del 2023 dalla Commissione per rivedere la direttiva sul traffico dei migranti. Il testo è stato sostenuto dai governi al Consiglio dell'Ue nel dicembre del 2023, introducendo ulteriori misure che porteranno alla criminalizzazione di chi assiste i migranti in pericolo. Nella versione adottata dal Consiglio non c'è una chiara esenzione per le ONG, i membri delle famiglie o gli stessi migranti che vengono accusati ingiustamente di essere dei trafficanti. Ora tocca al Parlamento europeo prendere posizione. "Il Parlamento europeo deve spingere per salvaguardie più forti in modo che nessuno si trovi di fronte a procedure penali semplicemente perché ha attraversato una frontiera o aiutato persone in difficoltà", dice Silvia Carta.
Stato di diritto
La Procura europea porta la Corte dei conti davanti alla Corte di giustizia – L'Ufficio del procuratore europeo ieri ha annunciato di aver presentato ricorso alla Corte di giustizia dell'Unione europea contro la decisione della Corte dei conti di respingere una richiesta di consentire ad alcuni suoi funzionari di testimoniare in un'indagine penale in corso. L'inchiesta è stata aperta alla fine del 2022 dopo una relazione dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode. Nel novembre del 2021 il nostro collega di Liberation, Jean Quatremer, aveva rivelato casi di frode tra i membri della Corte dei conti, a partire dal suo ex presidente, l'ex eurodeputato tedesco del PPE Klaus-Heiner Lehne. La procura europea ha chiesto più volte alla Corte dei conti di autorizzare interrogatori, consultazione di archivi elettronici e revoca dell'immunità del suo personale. Molte di queste richieste sono state respinte. “Questa ripetuta mancanza di collaborazione da parte della Corte dei conti europea ha impedito all'Ufficio del procuratore europeo di compiere progressi nelle sue indagini, per raggiungere l'obiettivo di determinare se le accuse siano fondate o meno e se debbano essere perseguite o meno dinanzi al tribunale penale competente”, ha spiegato la Procura.
Digitale
I dubbi della Corte dei conti sugli obiettivi di chip di von der Leyen – La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, era stata molto ambiziosa quando aveva annunciato il Chips Act: arrivare a produrre il 20 per cento dei microchip a livello globale entro il 2030. Troppo ambiziosa? Secondo un nuovo rapporto della Corte dei conti, è “molto improbabile che l'Ue raggiunga l'obiettivo”. Il Chips Act ha dato nuovo impulso al settore europeo dei microchip, ma tra ambizione e realtà c’è una lacuna da colmare. La Commissione non dispone di mandato per coordinare gli investimenti nazionali a livello di Ue. Inoltre, il Chips Act non è abbastanza chiaro in relazione agli obiettivi e al monitoraggio, ed è difficile stabilire se tenga adeguatamente conto degli attuali livelli di domanda di microchip tradizionali del settore. La Corte dei conti sottolinea che, secondo le stesse previsioni della Commissione, la quota complessiva dell’Ue nella catena del valore dei microchip aumenterebbe solo lievemente, passando dal 9,8 per cento nel 2022 a solo l’11,7 per cento entro il 2030.
Accade oggi
Consiglio europeo: il presidente Costa in visita in Bulgaria
Presidenza polacca dell'Ue: riunione informale dei ministri dell'Ambiente a Varsavia
Partito popolare europeo: Congresso a Valencia con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola
Commissione: i commissari Sikela e Dombrovskis a New York incontrano Michael Bloomberg e Larry Fink
Commissione: il commissario Sefcovic a Londra incontra il ministro britannico per le relazioni con l'Ue, Nick Thomas-Symonds ,e il ministro degli Esteri, David Lammy
Comitato economico e sociale: sessione plenaria (dibattito con il vicepresidente Fitto sulla revisione di medio-termine della coesione
Parlamento europeo: cerimonia di consegna del premio Lux
Corte di giustizia dell'Ue: sentenza sui passaporti d'oro a Malta; sentenza sulla concessione della gestione delle colonnine di ricarica sulle autostrade in Germania; sentenza sull'indipendenza dei giudici in Polonia
Eurostat: dati sulla sicurezza del trasporto stradale nel 2023; dati sulla digitalizzazione in Europa; dati sul turismo nel 2023
Il comportamento di Orban è il più significativo esempio di come la UE, che continua a procedere con regolamenti e strutture nate più di 50 anni fa con un numero enormemente inferiore di Stati membri, sia sempre meno in grado di funzionare e sopratutto prendere decisioni sui temi di più vitale importanza.
La prima riforma che tutti auspicano ma che nessuno vuole affrontare è quella di abolire l’ unanimità delle decisioni, e questo permette al dittatorello di turno in uno dei 28 Paesi di condizionare le più importanti decisioni,e questo in in un momento storico così difficile quale l’attuale.
Dato che sia il Parlamento europeo che i membri della Commissione sono sempre più condizionati dai problemi della loro politica interna e ogni tentativo di riforma in tal senso si arena regolarmente,,l’unica possibilità che vedo per sbloccare questa “impasse” e’ che si formasse un forte movimento di opinione popolare in tutta Europa, promosso e sostenuto da personalità trasversali alla politica,in grado di mettere le autorità europee con le spalle al muro su questo decisivo problema.