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Viktor Orban prende in ostaggio anche il G7
Non solo l'Unione Europea. Il primo ministro ungherese, Viktor Orban, è sul punto di prendere in ostaggio anche il G7. Il gruppo formato da Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Canada e Giappone, a cui è associata l'Unione europea, lo scorso giugno aveva promesso di fornire un prestito da 50 miliardi di dollari all'Ucraina entro la fine del 2024, utilizzando i proventi degli attici sovrani russi congelati con le sanzioni. L'obiettivo è mettere al riparo l'assistenza occidentale a Kyiv dal rischio di un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e dalle turbolenze politiche in Europa. I 50 miliardi dovrebbero servire all'Ucraina per comprare armi e finanziare il bilancio corrente. Ma il prestito rischia di non vedere la luce a causa del possibile veto dell'Ungheria all'architettura che l'Ue sta costruendo per finanziare la sua parte. Orban vuole aspettare le elezioni presidenziali negli Stati Uniti del 5 novembre. “E' ventisei contro uno”, ci ha spiegato un diplomatico. Di nuovo.
In Europa sono congelati due terzi dei 300 miliardi di attivi della Banca centrale russa e così tocca all'Ue contribuire a una parte importante del prestito. Per ragioni giuridiche e di stabilità finanziaria, i ventisette hanno deciso di non percorrere la strada della confisca dei circa 200 miliardi che sono immobilizzati in Belgio. Tuttavia l'Ue si è impegnata a usare i proventi straordinarie degli attivi congelati per rimborsare la sua quota (circa 20 miliardi di dollari) del prestito del G7. Gli Stati uniti hanno sollevato un'obiezione: le sanzioni dell'Ue che mantengono gli attivi russi congelati devono essere rinnovate ogni sei mesi. Basta il veto di uno Stato membro per far scadere le misure restrittive. Gli Stati Uniti hanno chiesto all'Ue di garantire un flusso regolare per i rimborsi. A prima vista la soluzione è semplice: allungare il periodo di validità delle sanzioni. Ma si scontra con la regola dell'unanimità, che garantisce a Orban il diritto di veto e la sua carica dirompente.
“A Bruxelles sono stati fatti molti progressi”, ci ha spiegato un alto funzionario dell'Ue: “La legislazione è tecnicamente pronta”. Ma resta un problema su “aspetti politici”. La questione è “se e come cambiare la decisione di immobilizzare gli attivi per assicurare la continuità dei proventi”, ha spiegato il funzionario. Tradotto: l'Ue deve decidere se e come cambiare la durata delle sanzioni. Lunedì gli ambasciatori dei ventisette Stati membri hanno avuto una prima discussione. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha inviato il suo capogabinetto, Björn Seibert, a illustrare tre opzioni. La prima prevede di prolungare la durata delle sanzioni per cinque anni, con una clausola di revisione annuale. La seconda prevede una durata di 36 mesi, ma unicamente per gli attivi congelati. La terza prevede di estendere a 36 mesi la validità di tutte le misure restrittive.
Durante la riunione del Coreper – l'organismo che riunisce i ventisette ambasciatori - ciascun paese ha espresso la sua preferenza per orientare la proposta formale che la Commissione dovrà fare. Tra i grandi la Germania si è detta favorevole ai cinque anni, insieme ai paesi nordici e baltici. Francia e Italia hanno espresso il loro orientamento a favore di prolungare a 36 mesi le sanzioni limitatamente agli attivi finanziari. Ma nessuno ha posto linee rosse, tranne un paese: l'Ungheria. Il rappresentante di Viktor Orban ha indicato che il suo primo ministro vuole attendere fino alle elezioni presidenziali americane. Il premier ungherese è convinto che il ritorno di Trump alla Casa Bianca costringerebbe l'Ue a cambiare tutti i suoi calcoli sull'Ucraina, abbandonando Kyiv al suo destino. Giocando con il tempo, Orban può bloccare il prestito del G7 che dovrebbe servire da polizza di assicurazione contro Trump. Se l'Ue non troverà un accordo o una soluzione, anche l'Amministrazione Biden non metterà la sua parte.
Questa settimana il Financial Times ha rivelato che l'Ue si sta preparando a un "piano B" per aggirare il veto di Orban: invece di ricorrere al prestito del G7, la Commissione potrebbe proporre un nuovo programma di assistenza macrofinanziaria utilizzando il bilancio comunitario per fornire fino a 40 miliardi di euro a Kyiv. Il vantaggio non è da poco: fino alla fine dell'anno, un programma di assistenza macrofinanziaria può essere approvato a maggioranza qualificata degli stati membri. Inoltre c'è urgenza. Il prossimo anno si stima che il fabbisogno finanziario di Kyiv sarà di 35 miliardi di dollari. Il Fondo Monetario Internazionale sta negoziando con il governo ucraino la prossima tranche dei suoi aiuti. Ma, per le regole interne, il Fmi ha bisogno che si approvato il prestito del G7 (o dell'UE) per staccare il prossimo assegno all'Ucraina. “Questo pacchetto è cruciale”, ci ha detto l'alto funzionario: “E' imperativo rendere disponibile il denaro all'Ucraina”.
Orban ormai ha abituato l'Ue ai suoi veti. Il tema ormai è diventato noioso. Ma, se in passato i veti di Orban sull'Ucraina erano di natura transazionale, oggi sono diventati strutturali. Non basta più sbloccare 10 miliardi di euro di fondi della coesione, come aveva fatto la Commissione a fine 2023 per convincere il premier ungherese a togliere il veto a via libera sui negoziati di adesione dell'Ucraina. Rinnegando la parola data, dall'inizio del 2023 Orban blocca il rimborso attraverso la European Peace Facility di quasi 1,5 miliardi di euro agli stati membri per le armi che hanno fornito all'Ucraina. Dallo scorso marzo il premier ungherese ha bloccato il Fondo di assistenza per Ucraina da 5 miliardi di euro per finanziare direttamente le forniture di armi per Kyiv. “A ogni occasione l'Ungheria cambia le ragioni della sua posizione e alza l'asticella del ricatto”, ci ha detto un'altra fonte.
Presidente di turno del Consiglio dell'Ue, Orban ha abusato di questo ruolo per organizzare la sua "missione di pace", incontrare Vladimir Putin e sostenere gli argomenti del Cremlino. Nel frattempo il suo governo firma accordi su petrolio e gas con la Russia. L'Ungheria ha deciso che i suoi interessi non sono quelli dell'Ue e cerca ogni occasione per sfruttare la sua posizione di free rider. Al di là di boicottaggi simbolici, gli altri capi di stato e di governo non hanno trovato un modo per contenerlo. "Orban sta nell'altro campo", ammette uno dei nostri interlocutori. "Il premier ungherese è convinto che Putin vincerà la guerra", spiega un altro.
Esasperato, alla riunione informale dei ministri degli Esteri di fine agosto, l'Alto rappresentante, Josep Borrell, è sbottato. “Non posso accettare questo blocco per mesi. Non posso accettare di avere 6 miliardi di euro sul mio conto corrente - sul conto corrente del Servizio europeo per l'azione esterna, intendo”, ha detto Borrell. “Questi soldi devono andare agli Stati membri. Hanno fornito supporto militare all'Ucraina e stanno aspettando di essere rimborsati. Quindi deve avvenire in un modo o nell'altro”. Borrell ha promesso che troverà un trucco per aggirare il veto dell'Ungheria. Ma lo aveva promesso già lo scorso giugno e la soluzione giuridica appare più difficile del previsto. Che sia la European Peace Facility o sul prestito del G7, la ricerca continua di un espediente per bypassare Orban dimostra solo una cosa: l'Ue ha raggiunto il limite della sua capacità di azione in Ucraina a causa della sua regola dell'unanimità.
La frase
“I Patrioti per l'Europa nominano Elon Musk per il Premio Sakharov per la libertà di parola. Il suo impegno per la libertà di espressione, la trasparenza e la lotta contro la censura è in linea con i valori della libertà e dei diritti umani”.
Un comunicato del gruppo di estrema destra dei Patrioti per l'Europa.
Commissione von der Leyen II
Ribera volta pagina su Vestager - “È tempo di cambiare, di evolvere. Credo che gli avvertimenti della signora Vestager debbano essere ascoltati, ma allo stesso tempo dobbiamo tenere a mente la solida diagnosi di Draghi. Il mandato della signora von der Leyen è chiaro: dobbiamo riformare le regole della concorrenza in modo che tutto funzioni meglio”. In tre frasi, la spagnola Teresa Ribera volta la pagina della politica della concorrenza concepita dalla danese Margrethe Vestager. In due interviste rilasciate al quotidiano spagnolo El pais e al Financial Times, il nuovo commissario responsabile per la transizione pulita e la concorrenza ha dato il tono: “D'ora in poi, dobbiamo essere in grado di dedicare risorse pubbliche per incoraggiare le industrie competitive. E garantire che le regole del gioco siano uguali per tutti i giocatori. Le regole devono essere riscritte tenendo conto di questi chiari principi”. Ancora in carica per garantire la transizione, Vestager ha messo in guardia contro una riforma totale delle regole sulle fusioni, perché rischia di aprire un “vaso di Pandora” e di creare “molta incertezza”. “Grazie per il consiglio”, risponde Ribera, che deve tenere conto delle critiche rivolte a Vestager e alle autorità di regolamentazione della concorrenza per aver frenato i campioni europei. “Se prendiamo le decisioni giuste, creeremo fantastiche opportunità. Se ritardiamo queste decisioni, rischiamo di distruggerle... Dovremo subirne le conseguenze a lungo termine”, ha spiegato. In breve, il rapporto di Mario Draghi sulla competitività è la bussola della nuova Commissione. Sensibile alle critiche delle capitali contro la sua opposizione al nucleare, che potrebbe indebolire la sua posizione di numero 2 della Commissione von der Leyen, Teresa Ribera cerca di placare gli animi. “I trattati dicono chiaramente che ogni paese ha il diritto di fare ciò che vuole. Questo deve essere rispettato”. Pragmaticamente, la vicepresidente rinuncia alle sue convinzioni. Tanto più che la presidente von der Leyen ha espresso chiaramente la sua posizione sul ruolo dell'energia nucleare. Ma, come sottolinea Ribera, “ciò che è interessante è sapere quali risorse pubbliche vengono spese per le fonti energetiche, quando ci sono fonti più economiche che offrono prezzi migliori ai consumatori”. Quando si tratta di investimenti pubblici, “bisogna essere estremamente prudenti”.
Ursula sta negoziando con i Verdi un ruolo per Philippe Lamberts - L'ex co-presidente del gruppo dei Verdi al Parlamento europeo, Philippe Lamberts, potrebbe essere nominato consigliere speciale della presidente Ursula von der Leyen, anche se “non è ancora fatta”, ci ha detto ieri lo stesso Lamberts. Von der Leyen vuole portare avanti la transizione pulita e il Green Deal, nonostante l'opposizione all'interno del PPE, la sua famiglia politica, dice Lamberts. La missione è stata affidata alla socialista spagnola Teresa Ribera. I Verdi non hanno un commissario, ma vogliono essere in grado di difendere questo dossier all'interno della Commissione. Con l'eccezione di una manciata di eurodeputati francesi, il gruppo ha votato a favore della riconferma della presidente e i suoi leader vorrebbero un intermediario all'interno della Commissione per far sentire le loro posizioni. Questo ruolo spetterebbe al belga Lamberts, co-presidente del gruppo per dieci anni, che ha mantenuto un rapporto di fiducia con Ursula von der Leyen durante il suo primo mandato e può fare da ponte con il Parlamento europeo. L'opzione presa in considerazione è quella di consigliere speciale. Resta da stabilire quale sarà il suo ruolo e il suo mandato. La descrizione delle mansioni è attualmente in discussione.
Geopolitica
Von der Leyen a Kyiv con un piano per l'inverno - Ursula von der Leyen oggi sarà a Kyiv per discutere con Volodymyr Zelensky un piano per aiutare l'Ucraina ad affrontare l'inverno, dopo che la Russia ha trascorso gli ultimi mesi a distruggere l'infrastruttura energetica del paese per piegarlo con il freddo e il buio. L'80 per cento delle centrali termoelettriche e un terzo della capacità idroelettrica sono stati distrutti da droni e missili russi. Secondo un rapporto dell'Agenzia internazionale dell'energia, l'Ucraina ha bisogno di 17 gigawatts di capacità per l'inverno. Von der Leyen propone un piano d'azione per "riparare, connettere e stabilizzare", che dovrebbe permettere di coprire il 25 per cento del fabbisogno e contribuire a creare un'infrastruttura di produzione di energia decentralizzata. Le grandi centrali elettriche o di riscaldamento costruite in era sovietica sono un facile obiettivo. Colpirne una significa lasciare centinaia di migliaia di persone senza luce o riscaldamento. Per rendere l'Ucraina meno vulnerabile, il piano prevede la fornitura di rinnovabili (pannelli solari) e turbine a gas portatili (la produzione locale garantisce l'autosufficienza). Von der Leyen ha annunciato uno stanziamento di 160 milioni di euro per questo inverno, di cui 100 milioni dai proventi derivanti dagli attivi russi immobilizzati nell'Ue: "E' giusto che la Russia paghi per la distruzione che ha causato", ha detto.
Il Parlamento europeo chiede di togliere le restrizioni all'Ucraina sulle armi - In una risoluzione approvato ieri a larga maggioranza, il Parlamento europeo ha chiesto agli Stati membri di eliminare le restrizioni che impediscono all'Ucraina di utilizzare i sistemi di armamento occidentali contro obiettivi militari legittimi in Russia. Il testo è stato adottato con 425 voti a favore, 131 contrari e 63 astensioni. Secondo i deputati, la decisione è giustificata dal diritto internazionale: con le restrizioni l'Ucraina non può esercitare pienamente il suo diritto all'autodifesa e rimane esposta ad attacchi contro la popolazione civile e le infrastrutture. Il voto di questo paragrafo della risoluzione ha evidenziato un'eccezione italiana nell'Ue: la stragrande maggioranza dei deputati italiani ha votato contro la richiesta sulla fine delle restrizioni, compresa la delegazione di Fratelli d'Italia, il partito di Giorgia Meloni, e quella del Partito democratico, all'opposizione, che per l'occasione si sono associati all'estrema destra vicina a Vladimir Putin. Il Parlamento ha anche condannato i ritardi nelle forniture delle munizioni, dopo l'impegno assunto nel marzo 2023 di fornire in un anno un milione di pezzi di artiglieria.
Sul Venezuela si rompono la maggioranza pro-europea e il cordone sanitario - Alla seconda sessione plenaria, al Parlamento europeo sono già saltati la maggioranza pro europea e il cordone sanitario contro l'estrema destra anti-europea. E' accaduto ieri nel voto di una risoluzione sul Venezuela. "Il PPE ha deciso di costruire un accordo sul Venezuela con Meloni, Orbán e Le Pen, insieme al sostegno dell'estrema destra tedesca, invece che con i gruppi filoeuropei", ha denunciato Javi Lopez, il negoziatore dei socialisti. Il cordone sanitario si è rotto dopo che i gruppi del PPE e dei Socialisti&Democratici non sono riusciti a trovare un accordo su una risoluzione comune. Il testo votato dalla plenaria del Parlamento è stato presentato dal PPE insieme al gruppo sovranista dell'ECR e a quello di estrema destra dei Patrioti per l'Europa. In plenaria i socialisti hanno votato contro, mentre il gruppo liberale di Renew non ha partecipato alla votazione per evitare compromissioni con l'estrema destra. La risoluzione riconosce Edmundo González Urrutia come presidente legittimo e democraticamente eletto e invita l'Ue a fare tutto il possibile per garantire che possa entrare in carica il 10 gennaio 2025.
Francia
La Francia ha un nuovo governo - Michel Barnier ha presentato ieri sera al presidente Emmanuel Macron un governo “pronto ad agire”, composto da 38 membri, tra cui 16 ministri a pieno titolo. Il capo dello Stato francese, che nomina i membri del governo, ha ricevuto Barnier ieri sera e l'annuncio è atteso per oggi. La costituzione della squadra di governo ha dato vita a una commedia molto francese, con minacce, sfoghi e porte sbattute. Michel Barnier ha minacciato le dimissioni. A 73 anni, l'ex commissario europeo e negoziatore della Brexit ha detto chiaramente che non ha nulla da perdere. Macron e il suo ultimo gruppo di fedelissimi non usciranno indenni da un'altra crisi. I leader dell'Ue guardano con grande attenzione a Barnier. Il nuovo primo ministro un membro del Partito Popolare Europeo e sarà il quindicesimo capo di governo della famiglia dei partiti della destra pro-europea. Il primo ministro terrà il suo discorso di politica generale il 1° ottobre. Il Rassemblement National, la formazione di estrema destra antieuropea e il più grande partito del paese, deciderà su questa base se rimanere neutrale o aderire alla mozione di sfiducia del Nouveau Front Populaire, l'alleanza di sinistra dominata da La France Insoumise, il partito guidato dall'eurofobo Jean-Luc Mélenchon, per far cadere il governo. Se Michel Barnier sopravviverà, sarà ospite del vertice del PPE organizzato prima del vertice europeo del 17 e 18 ottobre a Bruxelles.
Rapporto Draghi
Il Lussemburgo rigetta alcune raccomandazioni di Draghi - In un'intervista a Stefano Feltri per l'Institute for European Policymaking dell'Università Bocconi, il ministro delle Finanze del Lussemburgo, Gilles Roth, ha contestato diverse raccomandazioni presentate da Mario Draghi nel suo rapporto sul futuro della competitività europea. "Il Lussemburgo non condivide la diagnosi secondo cui la supervisione centralizzata dei mercati dei capitali europei, da parte dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, dovrebbe essere la strada da seguire", ha detto Roth. Sull'Unione bancaria, il Lussemburgo è contrario alla proposta di creare "una giurisdizione separata per le banche europee con operazioni transfrontaliere sostanziali". Anche il debito comune è un tabù. "Dovremo ri-prioritarizzare la spesa nell'Ue per assicurare di affrontare queste sfide in un modo sostenibile", ha detto Roth, definendo il debito comune di NextGenerationEu come "uno strumento temporaneo".
Geoeconomia
I negoziati continuano con la Cina sulle auto elettriche - L'incontro di ieri tra il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, e il ministro del Commercio cinese, Wang Wentao, non ha portato a un accordo sui dazi che l'Ue potrebbe introdurre contro i veicoli elettrici a batteria importati dalla Cina. "Discussione franca e costruttiva", ha detto un portavoce della Commissione. Dopo le pressioni di Germania e Spagna, qualche segnale di apertura c'è. "Entrambe le parti hanno ribadito la loro volontà politica di perseguire e intensificare gli sforzi per trovare una soluzione reciprocamente accettabile", ha detto il portavoce. La Commissione si è anche impegnata a "riesaminare gli impegni sui prezzi" presentati dai produttori cinesi, nonostante i termini temporali siano scaduti. Dombrovskis ha promesso "il massimo sforzo per raggiungere una soluzione reciprocamente accettabile". Pechino ha usato toni conciliatori, ma anche le solite minacce di rappresaglia. "Le due parti hanno chiaramente espresso la volontà politica di risolvere le divergenze attraverso consultazioni". Ma "se la parte europea insisterà nell'attuare misure fiscali irragionevoli, la Cina risponderà fermamente quanto è necessario per salvaguardare i diritti legittimi e gli interessi delle imprese", ha avvertito Pechino.
Automotive
Il grido di allarme dell'industria automobilistica - ACEA, l'organizzazione che riunisce i produttori europei di automobili, ieri ha lanciato un grido d'allarme chiedendo all'Ue “un'azione urgente” nel momento in cui la domanda di veicoli elettrici crolla. Secondo i dati forniti da ACEA, le vendite di auto nell'Ue sono ancora circa il 18 per cento inferiori ai livelli pre-pandemia nel 2019. I volumi di vendita di veicoli elettrici a batteria nell'Ue da inizio anno sono diminuiti dell'8,4 per cento. La quota di mercato dei veicoli elettrici a batteria nell'UE da inizio anno è scesa dal 13,9 per cento dell'anno scorso al 12,6 per cento di quest'anno. “Mancano le condizioni cruciali per raggiungere la spinta necessaria nella produzione e nell'adozione di veicoli a emissioni zero”, ha detto ACEA: “infrastrutture di ricarica e rifornimento di idrogeno, nonché un ambiente di produzione competitivo, energia verde accessibile, incentivi fiscali e all'acquisto e una fornitura sicura di materie prime, idrogeno e batterie”. Morale: senza incentivi pubblici per ridurre il prezzo, le auto elettriche non si vendono.
Il vero obiettivo di ACEA, evitare le multe - Tra le misure urgenti chieste ieri per il settore auto, ACEA si concentra sui nuovi obiettivi di CO2 per auto e furgoni che entreranno in vigore nel 2025. Il prossimo anno la media delle auto nuove vendute nell’Ue da ogni produttore dovrà attestarsi su 93,6 grammi di CO2 per chilometro, un calo significativo rispetto al limite di 116 g/km introdotto nel 2021. Le principali case automobilistiche europee non sono pronte, i veicoli elettrici venduti non sono sufficienti e le sanzioni per i costruttori che non rispetteranno gli obiettivi sono significative: 95 euro per auto per ogni grammo di CO2 in eccesso. Sono “multe multimiliardarie, che altrimenti potrebbero essere investite nella transizione a zero emissioni”, ha detto ACEA. Una moratoria sulle multe? Nel comunicato non c'è la richiesta. Ma l'alternativa sono “inutili tagli alla produzione, perdite di posti di lavoro e una filiera europea indebolita in un momento in cui ci troviamo ad affrontare una forte concorrenza da parte di altre regioni produttrici di automobili”, dice ACEA. L'organizzazione vuole anche anticipare al 2025 le revisioni della normativa sulla CO2 per veicoli leggeri e pesanti, attualmente programmata per il 2026 e il 2027.
I consumatori europei si allontana dall'auto elettrica - I dati forniti da ACEA rivelano quello che potrebbe essere un grave errore di calcolo della Commissione di Ursula von der Leyen, quando ha fissato al 2035 l'obbligo di immatricolare unicamente veicoli elettrici. Le previsioni sugli acquisti di auto elettriche si stanno rivelando completamente sbagliate. Secondo ACEA (che cita uno studio McKinsey del 2024), solo il 16 per cento dei proprietari europei di veicoli non elettrici sta pensando di comprare un veicolo elettrico, in calo rispetto al 18 per cento del 2021. Parallelamente, quasi il 20 per cento degli attuali proprietari di veicoli elettrici ha dichiarato di essere propenso o molto propenso a tornare ai veicoli con motore a combustione. Secondo ACEA, “l'accettazione da parte dei consumatori e la fiducia nelle infrastrutture non si sono sviluppate a sufficienza”.
Accade oggi
Presidenza ungherese: riunione informale dei ministri dei trasporti a Budapest
Commissione: visita della presidente von der Leyen a Kyiv
Commissione: la vicepresidente Vestager in visita negli Stati Uniti pronuncia un discorso a Harvard sul capitalismo della sorveglianza e la democrazia
Commissione: la commissaria Ferreira in Cina per il dialogo di alto livello sulla politica regionale
Commissione: la commissaria Ivanova a Napoli per la riunione dei ministri della Cultura del G7
Servizio europeo di azione esterna: l'Alto rappresentante Borrell partecipa al Cotec Europe Symposium a Gran Canaria
Consiglio: riunione del Coreper I
Eurostat: domande di asilo a giugno; decisioni sulle richieste di asilo nel secondo trimestre