Buongiorno! Sono Christian Spillmann e, insieme a David Carretta, vi presentiamo Il Mattinale Europeo.
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L'Ue: pecore pronte per la tosatura
Che fine ha fatto l'Europa potenza? L'Unione Europea è disunita, incapace di prendere decisioni. Subisce più di quanto agisca, parla con molte voci, inudibili nel caos circostante. Le sue istituzioni sono disprezzate, ignorate dai "fautori di guerra" al potere negli Stati Uniti, in Israele e in Russia. La presidente della Commissione, la conservatrice tedesca Ursula von der Leyen, è diventata una marionetta sottomessa al volere del Partito Popolare Europeo, la sua famiglia politica. Il Consiglio mantiene un basso profilo, poiché la posizione è ambita e il suo titolare, il socialista portoghese Antonio Costa, è indebolito dalla perdita di influenza dei suoi sostenitori. Quanto al Parlamento europeo, è diventato un anfiteatro. L'Unione europea è un grande mercato molto attraente, ma è sempre meno un quadro politico. Alla ricerca di una leadership, l'Europa improvvisa, naviga a vista e spesso si piega per evitare di essere spazzata via.
Il Consiglio europeo di oggi a Bruxelles conclude una sequenza iniziata con il G7 e seguita da un vertice della Nato. I leader europei hanno subito l'umore erratico del presidente americano, Donald Trump. A Kananaskis, in Canada, Trump ha elogiato Vladimir Putin, di cui ha rimpianto l'espulsione dal club, ha rifiutato di sostenere la riduzione del tetto al prezzo del petrolio proposta per minare lo sforzo bellico russo contro l'Ucraina e ha lasciato la riunione prima della sua conclusione. All'Aia, nei Paesi Bassi, gli stessi leader europei hanno capito di essere pecore pronte per la tosatura. Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, pur essendo uno di loro, lo ha detto crudamente in un messaggio a Trump: "Non è stato facile, ma hanno tutti firmato per il 5 per cento. L'Europa pagherà il prezzo forte, come deve essere, e questo sarà il tuo successo". Il presidente americano si è affrettato a pubblicare gli screenshot. Un modo per affermare la sua presa su alleati dipendenti militarmente dagli Stati Uniti.
È difficile credere che Donald Trump rinuncerà a "far pagare" agli europei i suoi tagli alle tasse negli Stati Uniti dopo il trionfo dell'Aia. Pensateci: il presidente americano è stato ospitato nel Palazzo reale, ricevuto dai sovrani, anche se non è stato in grado di salutare la regina Maxima diversamente da una stretta di mano, ed è stato adulato dagli "alleati". Trump l'aveva annunciato, l'ha fatto: un aumento dei dazi doganali del 10 per cento è stato imposto sui beni importati per finanziare i tagli alle tasse promessi durante la campagna elettorale. Questa misura è contraria alle regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. Ma Trump se ne infischia, come se ne infischia del diritto internazionale quando ordina di bombardare l'Iran. Perché preoccuparsene se poi Mark Rutte sostiene che "il diritto internazionale non è stato violato"? E se i leader europei gli fanno sapere apertamente, come gli italiani, o discretamente, come i tedeschi, di essere pronti ad accettare il dazio di base del 10 per cento per evitare una guerra commerciale?
L'Unione europea si inchina davanti alla legge del più forte. "Meloni e Merz hanno paura di usare le contromisure europee durante i negoziati sui dazi per timore che possano portare a un'escalation", ha confidato un funzionario europeo al Mattinale Europeo. "Senza determinazione nel rispondere a Trump in caso di mantenimento dei dazi e di trattamento asimmetrico dell'Ue oltre il 9 luglio, non c'è credibilità", ha sottolineato il funzionario. Le relazioni con gli Stati Uniti saranno discusse oggi a cena. Ursula von der Leyen dovrebbe presentare lo stato dei negoziati condotti a nome dell'Ue dal commissario al Commercio, Maros Sefcovic. "Rimangono una decina di giorni, e non abbiamo il quadro completo", ha ammesso un diplomatico europeo. I leader europei ridimensioneranno la presidente della Commissione? Ursula von der Leyen attende istruzioni, poiché gli Stati sono divisi tra ingaggiare un braccio di ferro, come fanno i canadesi, e abdicare. "La Commissione non deve dimenticare che ha ricevuto il mandato di difendere i nostri interessi", avverte il diplomatico.
Ursula von der Leyen conferma di essere incapace di prendere iniziative. Non è ancora stata invitata a incontrare Trump alla Casa Bianca, ha deplorato il suo predecessore Jean-Claude Juncker in una rara critica al suo modo di condurre i negoziati commerciali con gli Stati Uniti. Senza istruzioni, la presidente è paralizzata. Il ritorno della CDU al comando della Germania, con Friedrich Merz alla cancelleria, le ha semplificato la vita. Segue le istruzioni del PPE e adatta le priorità della Commissione alle richieste della sua famiglia politica. L'atmosfera all'interno del collegio dei commissari è di nuovo pessima, ma Ursula von der Leyen non ha personalità forti di fronte a sé. I commissari maltrattati si limitano a lamentarsi nelle loro capitali, ci hanno raccontato diverse persone informate.
Il presidente del Consiglio, Antonio Costa, si guarda bene dal immischiarsi negli affari della Commissione e mostra un'intesa perfetta con Ursula von der Leyen. Ma la sua istituzione è in letargo. I leader europei non si sono riuniti da marzo e il prossimo Consiglio europeo è previsto per ottobre. Perché riunire un'istituzione se è per mostrare le sue divisioni? Le ultime conclusioni del Consiglio europeo sull'Ucraina sono state sostenute da 26 dei 27 membri. Il vertice sarà breve - un giorno - e tutto sarà fatto per evitare discussioni che dividono.
La credibilità dell'Unione europea si sta deteriorando. Il sostegno all'Ucraina rimane forte, ma l'Ungheria e la Slovacchia si rifiutano di sostenere nuove sanzioni contro la Russia. Impossibile anche progredire sulla strada dell'adesione dell'Ucraina all'Ue, poiché Viktor Orban si oppone. È richiesta l'unanimità. Nessun consenso, nessuna posizione comune.
L'Ue sostiene la richiesta di un cessate il fuoco in Ucraina. Rinnova questa richiesta nel progetto di conclusioni del vertice. Ma è incapace di attuare le sanzioni "devastanti" promesse se Putin continua i suoi bombardamenti contro i civili in Ucraina. Nel frattempo Washington ha abbandonato gli europei. "Non è il momento di imporre nuove sanzioni, perché perderemo probabilmente la nostra capacità di discutere del cessate il fuoco con loro (i russi). E chi parla con loro se non noi, visto che non parlano con nessun altro in Europa?", ha spiegato il segretario di Stato americano, Marco Rubio, in un'intervista a Politico durante il vertice della Nato. Rubio lo dice: l'Unione europea è fuori gioco.
Divisioni anche sul Medio Oriente. Tensioni sul modo di finanziare la difesa: la Germania si oppone a qualsiasi indebitamento comune. Eppure diventa sempre più evidente che questa sarà la soluzione. L'Unione europea non è più il quadro istituzionale adatto. I progressi avvengono attraverso soluzioni ad hoc, intergovernative. L'Unione avanza a ritmi variabili, a seconda degli interessi. "L'Europa improvvisa. Non ha altra scelta. Ma è fragile e pericoloso. Tutto dipende dalla volontà dei leader", riconosce il rappresentante di uno Stato membro.
La frase
“Ribadiamo il nostro impegno incondizionato a favore della difesa collettiva, sancito dall'articolo 5 del Trattato di Washington, secondo cui un attacco contro uno degli Alleati è considerato un attacco contro tutti”.
Dichiarazione del vertice Nato dell'Aia.
Vertice con Trump
Trump ha incontrato Zelensky a margine del vertice della Nato - "Abbiamo discusso con il presidente della protezione della nostra popolazione, in primo luogo dell'acquisto di sistemi di difesa aerea americani per proteggere le nostre città, la nostra popolazione, le nostre chiese e le nostre infrastrutture", ha detto Volodymyr Zelensky dopo un incontro con Trump. "L'Ucraina è pronta ad acquistare queste attrezzature e a sostenere i produttori di armi americani. L'Europa può dare il suo aiuto. Abbiamo anche discusso della possibilità di una coproduzione di droni. Possiamo rafforzarci a vicenda", ha spiegato Zelensky. "Abbiamo discusso della situazione sul campo di battaglia. Putin chiaramente non sta vincendo. Ho presentato al presidente i fatti sulla realtà del terreno", ha aggiunto il presidente ucraino. Donald Trump è rimasto evasivo sul suo incontro con Zelensky. "Vedremo se daremo più mezzi di difesa all'Ucraina", ha dichiarato. "Vedremo se possiamo mettere a disposizione missili Patriot", ha poi risposto Trump a una giornalista ucraina il cui marito è sul fronte in Ucraina. "Putin deve fermare la guerra", ha insistito il presidente americano, che ha sorpreso quando ha dichiarato che "la Russia potrebbe avere ambizioni territoriali oltre l'Ucraina".
Macron chiede il ritorno alla pace commerciale - "Lo sforzo collettivo" concordato al vertice della Nato per aumentare le spese per la difesa degli alleati "impone la pace commerciale, perché non possiamo spendere di più e farci una guerra commerciale tra alleati all'interno della Nato", ha detto Emmanuel Macron durante il vertice all'Aia. "Bisogna tornare alla pace commerciale e abbassare le barriere dei dazi che sono state rafforzate", ha sostenuto il presidente francese durante una conferenza stampa. Macron ha anche lanciato un appello ad "anticipare l'evoluzione del dispiegamento delle forze sul terreno in Europa" in riferimento al ritiro annunciato di una parte dei 100.000 militari americani dispiegati sul vecchio continente. Contrariamente al presidente americano, Donald Trump, che ha insistito sulla necessità per gli alleati di "pagare" per la loro protezione, Emmanuel Macron ha spiegato che l'aumento delle spese per la difesa era "necessario". "Lo facciamo a causa della minaccia russa alle nostre frontiere".
Trump farà "pagare la Spagna" - Il rifiuto di Pedro Sanchez di seguire gli alleati della Nato e di impegnarsi a portare le spese della Spagna per la difesa al 5 per cento del PIL è rimasto sul groppone di Donald Trump. Il presidente americano ha quindi annunciato rappresaglie commerciali. "Sono gli unici a rifiutarsi di pagare. Li faremo pagare il doppio", ha affermato Trump durante la sua conferenza stampa all'Aia. "Quello che hanno fatto è terribile. È l'unico paese che non pagherà tutto; rimarranno al 2 per cento, quindi pagheranno attraverso il commercio", ha spiegato Trump. L'economia spagnola "sta andando molto bene, ma potrebbe essere devastata se succede qualcosa", ha avvertito il presidente americano. Trump ha aggiunto che negozierà "direttamente" con Sanchez.
La rabbia di Trump per i dubbi sul suo successo contro l'Iran - I dubbi sull'"annientamento" del programma nucleare iraniano grazie agli attacchi americani ha provocato le ire di Donald Trump. Il presidente americano ha attaccato i media americani che hanno riportato un rapporto dei servizi di intelligence americani che parla di un impatto limitato. "Spazzatura", ha accusato Trump al termine del vertice della Nato all'Aia. "Dobbiamo aspettare una valutazione dei danni", ha spiegato il presidente francese, Emmanuel Macron. La questione che si porrà poi è se il JCPOA, l'accordo concluso da Barack Obama per controllare il programma nucleare iraniano, da cui Trump è uscito nel 2018, "esista ancora e possa ancora essere un quadro per i negoziati con Teheran", ha sottolineato Macron. Il diplomatico spagnolo Enrique Mora, direttore politico nel gabinetto dell'Alto rappresentante Josep Borrell dal 2019 al 2024, ha negoziato durante tutto il suo mandato con gli iraniani per salvare il JCPOA e si mostra molto pessimista in un articolo pubblicato ieri su Politica Exterior. "Impegnarsi a non sviluppare attività nucleari mentre la quasi totalità dei paesi del Golfo lo fa è inconcepibile. E farlo sotto il peso delle bombe: No. La diplomazia nucleare è morta", sostiene Mora. "Se l'Iran decide ora di compiere questo terzo passo, la militarizzazione delle sue capacità nucleari, se decide ora di dotarsi della bomba, lo farà basandosi su una logica strategica evidente: nessuno bombarda la capitale di un paese con armi nucleari. Il 21 giugno 2025 potrebbe entrare nella storia non come il giorno in cui il programma nucleare iraniano è finito, ma come quello in cui un Iran dotato di armi nucleari è stato irreversibilmente forgiato", avverte Mora.
Vertice senza Trump
Debito comune o debito nazionale per la difesa? Questo è il dilemma – La difesa è diventata un tema ordinario dei vertici europei. A ogni riunione del Consiglio europei, i capi di Stato e di governo ne discutono. Ursula von der Leyen e Kaja Kallas hanno iniziato anche a scrivere una lettera per fare il punto di quanto è stato fatto e le prossime tappe. In quella inviata ieri la presidente della Commissione e l'Alto rappresentante indicano quattro priorità strategiche: usare tutti gli strumenti disponibili per aumentare gli investimenti nelle capacità; fare progressi verso un mercato unico per la difesa rafforzando la base industriale e tecnologica; assicurare sostegno militare all'Ucraina; rafforzare la cooperazione con i partner internazionali. Ma il grande tema tabù non c'è: come finanziare gli impegni appena assunti alla Nato, nel momento in cui alcuni paesi non hanno spazio fiscale? La risposta di von der Leyen e Kallas sta nel prossimo quadro finanziario pluriennale. La Commissione proporrà di affrontare “la necessità di un finanziamento sostanziale per la difesa negli anni a venire attraverso una finestra dedicata del Fondo per la competitività europea per Resilienza, Difesa e Spazio". Non viene menzionato alcun ammontare. Nella bozza di conclusioni del Consiglio europeo, alcune delegazioni sono riuscite a inserire una frase sulla necessità di lavorare a "opzioni di finanziamento". Giorgia Meloni, Emmanuel Macron e Pedro Sanchez dovrebbero insistere sulla richiesta di uno strumento di debito comune. Ma non c'è ancora l'unanimità per l'opposizione di Germania e Paesi Bassi.
Von der Leyen scettica sui negoziati informali per far avanzare l'adesione all'Ucraina - L'idea si sta facendo strada tra gli Stati membri per superare il veto dell'Ungheria all'apertura di una serie di capitoli nei negoziati di adesione dell'Ucraina: avviare in modo informale le trattative e il lavoro, in modo da poter aprire e chiudere immediatamente i capitoli in modo formale, quando non ci sarà più l'ostacolo Viktor Orban. Ma la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è scettica. Sarebbe difficile da spiegare all'Ucraina per quale ragione non vengono premiati per gli sforzi fatti. E i negoziati informali andrebbero contro il principio del processo di adesione basato sul merito. Per von der Leyen, l'Ucraina ha fatto i compiti che le sono stati chiesti e non è stato facile vista la mole e il tipo di leggi che la Rada (il Parlamento) ha dovuto approvare. La scelta è difficile. La presidente della Commissione considera i negoziati informali come un piano B, ma non la migliore opzione.
Ingoiare o non ingoiare il dazio di base del 10 per cento? Questo è il dilemma - La discussione sulla geoeconomia che Antonio Costa ha voluto mettere all'ordine del giorno del Consiglio europeo di oggi si concentrerà su Stati Uniti e Cina. Ma il tema vero sono i dazi di Trump. I leader sono pronti ad accettare un “accordo asimmetrico” e l'imposizione del dazio di base del 10 per cento, come ha fatto il Regno Unito? Ursula von der Leyen vuole ascoltare l'opinione dei leader, prima di dare indicazioni al commissario al Commercio, Maros Sefcovic. La Commissione ritiene di dover avere il sostegno degli Stati membri per minacciare l'Amministrazione Trump con ritorsioni dolorose, in modo da ottenere un accordo equo. I leader dovranno anche decidere se e quanti dazi imporre per “riequilibrare” il dazio di base americano in caso di accordo svantaggioso. Ma, nelle discussioni informali con gli sherpa dei capi di Stato e di governo, Bruxelles ha registrato la paura di un'escalation commerciale con gli Stati Uniti. L'Ue spera anche di ottenere più tempo oltre la scadenza del 9 luglio, magari arrivando a un accordo di principio prima di un accordo formale con gli Stati Uniti.
Macron rimette in discussione gli obiettivi climatici per il 2040 - La Francia ha chiesto che i capi di Stato e di governo discutano a questo Consiglio europeo gli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2040, che la Commissione di Ursula von der Leyen vorrebbe presentare tra appena una settimana. L'impegno è un taglio del 90 per cento sulla strada delle zero emissioni nette entro il 2050, in linea con l'accordo di Parigi. Il presidente francese ne è stato il grande promotore, ma Emmanuel Macron sembra essere tra i leader che ha un ripensamento. “Sempre più leader sono convinti che gli obiettivi di riduzione delle emissioni siano un problema”, ci ha detto una fonte. “Non tutti gli Stati membri ritengono che si debbano presentare gli obiettivi per il 2040, dato che abbiamo quelli per il 2050. La Francia dimostra che stati membri che erano a favore dei regolamenti che abbiamo adottato in passato, stanno cambiando posizione. La Commissione è già in ritardo. Sul piano giuridico avrebbe dovuto presentare la proposta per il 2040 un anno fa. Ursula von der Leyen l'aveva promessa per marzo. Ora vuole offrire una certa flessibilità ai governi. Ma “c'è un crescente convinzione tra gli Stati membri che questo non sia il momento giusto”, ci ha detto la nostra fonte. “Il presidente Macron rischia di deragliare l'ambizione climatica dell'Ue a pochi mesi dalla COP20”, ha commentato Sven Harmeling della coalizione di ONG CAN.
Green claims
Le presidenze polacca e danese tengono in vita la proposta contro il “greenwashing” - Gli ambasciatori degli Stati membri ieri hanno avuto una prima discussione, dopo il grande caos provocato dall'annuncio della Commissione di voler ritirare la proposta di direttiva sui “green claims” su richiesta del PPE e dei gruppi di estrema destra al Parlamento europeo. L'Italia ha confermato che sostiene il ritiro della direttiva, facendo venire meno la maggioranza qualificata in Consiglio. La presidenza polacca dell'Ue ha deciso di proseguire le consultazioni nei cinque giorni che restano prima della fine del suo semestre e di coordinarsi sui prossimi passi con la presidenza danese che prenderà le redini il primo luglio. E' possibile che il Consiglio modifichi, anche se non in profondità, la sua posizione negoziale. Una cosa è sicura. Si vuole evitare che il tema finisca al Consiglio europeo di oggi. I capi di Stato e di governo potrebbero essere ancor meno propensi dei loro ambasciatori e ministri a sostenere una proposta al clima e all'ambiente che impone ulteriori oneri amministrativi alle imprese legati.
Diversi governi irritati con la Commissione e l'Italia - Il dibattito tra gli ambasciatori ieri è stato civile nei toni, ma duro nella sostanza. Secondo quanto ci hanno raccontato le nostre fonti, diverse delegazioni hanno definito sorprendente l'annuncio della Commissione e deludente la situazione che ne è seguita con la decisione dell'Italia di ritirare il suo sostegno al compromesso. Fiducia e credibilità sono venute meno. Alcuni ambasciatori hanno sottolineato la tendenza preoccupante della Commissione di voler ritirare delle proposte, utilizzando un potere di veto che non è previsto dai trattati e che la Corte di giustizia dell'Ue ha già criticato.
Maggioranza Ursula
Il gruppo socialista dà a von der Leyen fino a settembre per decidere sulla sua maggioranza - La presidente del gruppo dei Socialisti&Democratici al Parlamento europeo, Iratxe Garcia Perez, ieri ha incontrato Ursula von der Leyen per trasmettere una sorta di ultimatum alla presidente della Commissione, di fronte alla cooperazione sua e del PPE con l'estrema destra. Al discorso sullo Stato dell'Unione, Ursula von der Leyen deve esprimere un “impegno chiare, reale e pubblico” nei confronti della maggioranza pro-europea (la cosiddetta “Piattaforma” formata da PPE, socialisti e liberali) che l'ha eletta e delle linee guida che aveva presentato per far approvare la sua Commissione. “Per il gruppo Socialisti&Democratici ci sono solo due opzioni: o la Piattaforma lavora a tutta velocità o usciamo”, ci ha detto una fonte interna. In una riunione dell'ufficio di presidenza del gruppo, tutte le delegazioni nazionali hanno detto di averne abbastanza del doppio gioco di von der Leyen e del PPE. L'irritazione va ben oltre la decisione di annunciare l'intenzione di ritirare la proposta di direttiva sui “Green claims” per combattere il “greenwashing”. Il PPE si è alleato con i gruppi di estrema destra anche su altri temi, come la caccia alle streghe contro le ONG e la legge sulla deforestazione. Garcia ha detto a von der Leyen che i socialisti “non potranno più sostenere un progetto che fa leggi con l'estrema destra”.
Diritti
Von der Leyen sostiene il Pride di Budapest con un video, ma senza procedura di infrazione - La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ieri ha pubblicato un video di sostegno al Pride di Budapest, minacciato da una nuova legge introdotta dal governo di Viktor Orban. “Sono dalla vostra parte”, ha detto von der Leyen “chiedo alle autorità ungheresi di permettere che il Pride di Budapest vada avanti senza paura o sanzioni penali o amministrative contro gli organizzatori o i partecipanti”. Orban ha risposto chiedendo alla Commissione di non “interferire”. Cosa ha spinto von der Leyen a intervenire pubblicamente? La presidente è in difficoltà sul piano politico, nel momento in cui socialisti e liberali minacciano una rottura per l'agenda sempre più a destra della Commissione e la cooperazione del PPE con l'estrema destra. La Commissione non ha ancora aperto una procedura di infrazione contro l'Ungheria per la legge contro il Pride, nonostante le richieste del Parlamento europeo e della società civile. Secondo diverse fonti, dentro la Commissione è sempre più difficile promuovere i diritti Lgbt nei documenti politici o nelle proposte legislative.
Migranti
Merz entra nel caucus Meloni-Frederiksen contro i migranti - Come tradizione, prima dell'inizio del Consiglio europeo, quindici capi di Stato e di governo si riuniranno sotto la presidenza di Giorgia Meloni nel gruppo informale di leader che sono determinati a indurire le politiche migratorie. Gli altri due paesi che hanno la presidenza sono la Danimarca di Mette Frederiksen e i Paesi Bassi di Dick Schoof. Il gruppo è sempre più largo. L'ultimo arrivato al tavolo dei falchi dell'immigrazione è il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, che ha annunciato a Meloni la sua partecipazione.
Il governo Merz mette fine ai finanziamenti per le ONG in mare - Il governo di Friedrich Merz ha deciso di interrompere i finanziamenti alle ONG che conducono operazioni di ricerca e soccorso di migranti nel mar Mediterraneo. L'annuncio è stato fatto da fonti di Berlino all'AFP. "Il governo federale non prevede più di erogare sussidi alle ONG impegnate nel soccorso civile". Nel primo trimestre di quest'anno, sono stati erogati 900.000 euro. Nel 2024 i finanziamenti hanno raggiunto i 2 milioni di euro. Tra le ONG che hanno beneficiato di questo finanziamento figurano SOS Humanity, SOS Méditerranée, RESQSHIP, Sea-Eye e Sant'Egidio. Il Mediterraneo è una delle rotte migratorie più mortali al mondo. La leader dei verdi Britta Haßelmann, ha denunciato una "decisione drammatica" che "non farà che peggiorare la crisi umanitaria nel Mediterraneo". Il presidente di Sea-Eye, Gorden Isler, ha accusato il governo Merz di inviare un "segnale catastrofico" perché le navi delle ONG saranno "costrette a rimanere in banchina nonostante le emergenze in mare".
Accade oggi
Consiglio europeo
Parlamento europeo: audizione in commissione Sicurezza e difesa del comandante del Comitato militare della Nato, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone
Commissione: il commissario Sefcovic a Hanoi in Vietnam
Commissione: il commissario Tzitzikostas a Roma incontra il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini e il sindaco Roberto Gualtieri
Commissione: la vicepresidente Ribera interviene alla summer school della delegazione italiana del gruppo dei socialisti
Banca centrale europea: riunione del Consiglio generale
Banca centrale europea: discorso della presidente Lagarde al 150esimo anniversario del Münchner Opernfestspiele a Monaco
Eurostat: dati sull'apprendimento degli adulti nel 2024
Ma come è possibile continuare con questa farsa che è diventata l’Unione Europea?
Un’istituzione nata da una fantastica intuizione
e che ha generato sin dall’inizio i più grandi e sinceri entusiasmi, dopo 80 anni e’ diventato un enorme e retorico carrozzone, con regole obsolete e paralizzanti, che non ha un embrione di Costituzione, che non è stata in grado nemmeno di avere un’ armonizzazione in campo fiscale e giuridico, che tutto quello che ha saputo fare sono regole ( che poi nessuno rispetta) nel campo green, di cui non frega niente a nessuno.
Altro che parlare di grande potenza, di esercito europeo, di politica estera comune.
Mancanza di leadership? Ma come è possibile se le regole sono quelle attuali, ove qualsiasi membro, che al momento dell’annessione ha dovuto ottemperare a principi comuni, poi una volta ammesso li può impunemente rinnegare, senza essere espulso?
Trump ci snobba? Ma chi al posto suo, magari con un altro stile, non lo farebbe?
Non lamentiamoci poi se le nuove generazioni sono sempre più euroscettiche. I giovani sono sempre vissuti di ideali, più o meno discutibili,ma sempre ideali.
E questa Europa che oggi si ritrovano non è certo un ideale.
Chiedo scusa per lo sfogo, ma la delusione di chi è vissuto ai tempi di Monnet, Schumann,Adenauer, Degasperi e’ davvero infinita
Alfredo Codecasa
Reputo errata l'inclusione di Israele nel numero di nazioni favorevoli a un ipotetico "partito della guerra". Mettendo da parte, per quanto sia difficile, l'antisemitismo europeo sempre più presente e incoscientemente sdoganato dalle Sinistre (mentre le Destre sogghignano e lasciano ad altri il lavoro sporco fatto per tanto tempo), colpisce una lettura del Medio Oriente che è viziata da residui ottocenteschi, paternalisticamente post-colonialisti e da pregiudizi geopolitici in cui ancora una volta l'astiosità antiebraica gioca un ruolo. Israele non è Sparta e non ha neanche in interesse "naturale" ad esserlo, ma vive in un contesto che non ha e non ha mai avuto paralleli in Europa, neanche adesso che l'Occidente mostra tutte le sue mediocrità mercantili di fronte al problema dell'Ucraina. Dalla sua fondazione nel 1948, in virtù anche di quel Sionismo di cui troppi cianciano senza averlo minimamente approfondito, Israele ha immediatamente provato sulla sua pelle il contesto ostile in cui vedeva la propria nascita: una mescolanza ancora oggi in buona parte irrisolta di odi atavici, di antisemitismo religioso e politico, di rifiuto in nome di un post-colonialismo artatamente distorto, di negazione della propria Storia, di conflitti tribali, di nazionalismi stretti fra ambizioni opacamente laiche ed eredità religiose. Israele è sin da allora cosciente di potersi permettere di perdere qualche battaglia minore ma di non potersi concedere in alcun modi perdere qualsiasi guerra. Questione pianamente di sopravvivenza, con tutti i significati che questo termine può assumere per la Diaspora e il massacro perpetrato da molte nazioni europee con la Shoah. Parlare di partito della guerra in Israele è comoda retorica artatamente semplicistica: al netto degli errori compiuti dai diversi governi israeliani (e perché mai agli israeliani non dovrebbe essere concesso di sbagliare?), e al netto delle molte offerte di pace fatte ai palestinesi e ai loro rappresentanti a partire da Arafat, l'incancrenimento della situazione era inevitabile e non poteva non suscitare anche una risposta estremista presso alcuna fasce minoritarie della società israeliana che hanno ovviamente cavalcato il rifiuto palestinese sostenuto in larga parte dalle Sinistre europee sin dal 1967 (quando in Israele esisteva una solida Sinistra che ha pagato caro la diserzione europea). Troppo lungo in questa sede ripercorrere il tragitto compiuto dal 1967 ad oggi dalla societa israeliana, dalla sua realtà politica complessa, dalla sua realtà economica, industriale, tecnologica, culturale e militare: il 7 di ottobre 2023 (data che le Sinistre europee e la ben finanziata propaganda pro-palestinese hanno cercato di seppellire, aizzando un antisemitismo forse persino più pericoloso di quello degli anni Trenta e Quaranta) ha stabilito un Great Divide per adesso, quello sì, incancellabile per lungo tempo. Che gli europei speculino sulla propaganda antiebraica e sui dati falsati di Hamas e che accusino Israele di essere ben diverso da quello che è in realtà (cioè, una vera democrazia che nulla ha da invidiare allo sconquasso tragicomico delle società europee) ha un peso ben relativo. Netanyahu, pur con tutto ciò che gli si può rimproverare (senza trasformarlo maliziosamente nel Male impersonificato) e pur nel suo messianesimo ormai corrotto dal prolungato esercizio del potere, ha proseguito l'opera di modernizzazione della Nazione ebraica, portandola ad un livello di sofisticazione creativa e di benessere senza precedenti: nel momento di maggiore responsabilità (e pure di massimo fallimento) ha portato Israele a combattere e a vincere militarmente su sette fronti, a ristabilire la sua capacità di deterrenza e di capacità militare, a svelare il bluff iraniano, a stroncare Hamas, a domare Hezbollah, a domare i confini con la Siria, a dimostrare ancora una volta la resilienza del popolo israeliano e delle sue capacità nei momenti di maggiore difficoltà. Pare una battuta, ma forse all'Europa che frigna di fronte a Putin e che di fronte a Trump mostra che il re è nudo un Netanyahu farebbe assai comodo.
Gianni Morelenbaum Gualberto