Ma come è possibile continuare con questa farsa che è diventata l’Unione Europea?
Un’istituzione nata da una fantastica intuizione
e che ha generato sin dall’inizio i più grandi e sinceri entusiasmi, dopo 80 anni e’ diventato un enorme e retorico carrozzone, con regole obsolete e paralizzanti, che non ha un embrione di Costituzione, che non è stata in grado nemmeno di avere un’ armonizzazione in campo fiscale e giuridico, che tutto quello che ha saputo fare sono regole ( che poi nessuno rispetta) nel campo green, di cui non frega niente a nessuno.
Altro che parlare di grande potenza, di esercito europeo, di politica estera comune.
Mancanza di leadership? Ma come è possibile se le regole sono quelle attuali, ove qualsiasi membro, che al momento dell’annessione ha dovuto ottemperare a principi comuni, poi una volta ammesso li può impunemente rinnegare, senza essere espulso?
Trump ci snobba? Ma chi al posto suo, magari con un altro stile, non lo farebbe?
Non lamentiamoci poi se le nuove generazioni sono sempre più euroscettiche. I giovani sono sempre vissuti di ideali, più o meno discutibili,ma sempre ideali.
E questa Europa che oggi si ritrovano non è certo un ideale.
Chiedo scusa per lo sfogo, ma la delusione di chi è vissuto ai tempi di Monnet, Schumann,Adenauer, Degasperi e’ davvero infinita
Reputo errata l'inclusione di Israele nel numero di nazioni favorevoli a un ipotetico "partito della guerra". Mettendo da parte, per quanto sia difficile, l'antisemitismo europeo sempre più presente e incoscientemente sdoganato dalle Sinistre (mentre le Destre sogghignano e lasciano ad altri il lavoro sporco fatto per tanto tempo), colpisce una lettura del Medio Oriente che è viziata da residui ottocenteschi, paternalisticamente post-colonialisti e da pregiudizi geopolitici in cui ancora una volta l'astiosità antiebraica gioca un ruolo. Israele non è Sparta e non ha neanche in interesse "naturale" ad esserlo, ma vive in un contesto che non ha e non ha mai avuto paralleli in Europa, neanche adesso che l'Occidente mostra tutte le sue mediocrità mercantili di fronte al problema dell'Ucraina. Dalla sua fondazione nel 1948, in virtù anche di quel Sionismo di cui troppi cianciano senza averlo minimamente approfondito, Israele ha immediatamente provato sulla sua pelle il contesto ostile in cui vedeva la propria nascita: una mescolanza ancora oggi in buona parte irrisolta di odi atavici, di antisemitismo religioso e politico, di rifiuto in nome di un post-colonialismo artatamente distorto, di negazione della propria Storia, di conflitti tribali, di nazionalismi stretti fra ambizioni opacamente laiche ed eredità religiose. Israele è sin da allora cosciente di potersi permettere di perdere qualche battaglia minore ma di non potersi concedere in alcun modi perdere qualsiasi guerra. Questione pianamente di sopravvivenza, con tutti i significati che questo termine può assumere per la Diaspora e il massacro perpetrato da molte nazioni europee con la Shoah. Parlare di partito della guerra in Israele è comoda retorica artatamente semplicistica: al netto degli errori compiuti dai diversi governi israeliani (e perché mai agli israeliani non dovrebbe essere concesso di sbagliare?), e al netto delle molte offerte di pace fatte ai palestinesi e ai loro rappresentanti a partire da Arafat, l'incancrenimento della situazione era inevitabile e non poteva non suscitare anche una risposta estremista presso alcuna fasce minoritarie della società israeliana che hanno ovviamente cavalcato il rifiuto palestinese sostenuto in larga parte dalle Sinistre europee sin dal 1967 (quando in Israele esisteva una solida Sinistra che ha pagato caro la diserzione europea). Troppo lungo in questa sede ripercorrere il tragitto compiuto dal 1967 ad oggi dalla societa israeliana, dalla sua realtà politica complessa, dalla sua realtà economica, industriale, tecnologica, culturale e militare: il 7 di ottobre 2023 (data che le Sinistre europee e la ben finanziata propaganda pro-palestinese hanno cercato di seppellire, aizzando un antisemitismo forse persino più pericoloso di quello degli anni Trenta e Quaranta) ha stabilito un Great Divide per adesso, quello sì, incancellabile per lungo tempo. Che gli europei speculino sulla propaganda antiebraica e sui dati falsati di Hamas e che accusino Israele di essere ben diverso da quello che è in realtà (cioè, una vera democrazia che nulla ha da invidiare allo sconquasso tragicomico delle società europee) ha un peso ben relativo. Netanyahu, pur con tutto ciò che gli si può rimproverare (senza trasformarlo maliziosamente nel Male impersonificato) e pur nel suo messianesimo ormai corrotto dal prolungato esercizio del potere, ha proseguito l'opera di modernizzazione della Nazione ebraica, portandola ad un livello di sofisticazione creativa e di benessere senza precedenti: nel momento di maggiore responsabilità (e pure di massimo fallimento) ha portato Israele a combattere e a vincere militarmente su sette fronti, a ristabilire la sua capacità di deterrenza e di capacità militare, a svelare il bluff iraniano, a stroncare Hamas, a domare Hezbollah, a domare i confini con la Siria, a dimostrare ancora una volta la resilienza del popolo israeliano e delle sue capacità nei momenti di maggiore difficoltà. Pare una battuta, ma forse all'Europa che frigna di fronte a Putin e che di fronte a Trump mostra che il re è nudo un Netanyahu farebbe assai comodo.
Ma come è possibile continuare con questa farsa che è diventata l’Unione Europea?
Un’istituzione nata da una fantastica intuizione
e che ha generato sin dall’inizio i più grandi e sinceri entusiasmi, dopo 80 anni e’ diventato un enorme e retorico carrozzone, con regole obsolete e paralizzanti, che non ha un embrione di Costituzione, che non è stata in grado nemmeno di avere un’ armonizzazione in campo fiscale e giuridico, che tutto quello che ha saputo fare sono regole ( che poi nessuno rispetta) nel campo green, di cui non frega niente a nessuno.
Altro che parlare di grande potenza, di esercito europeo, di politica estera comune.
Mancanza di leadership? Ma come è possibile se le regole sono quelle attuali, ove qualsiasi membro, che al momento dell’annessione ha dovuto ottemperare a principi comuni, poi una volta ammesso li può impunemente rinnegare, senza essere espulso?
Trump ci snobba? Ma chi al posto suo, magari con un altro stile, non lo farebbe?
Non lamentiamoci poi se le nuove generazioni sono sempre più euroscettiche. I giovani sono sempre vissuti di ideali, più o meno discutibili,ma sempre ideali.
E questa Europa che oggi si ritrovano non è certo un ideale.
Chiedo scusa per lo sfogo, ma la delusione di chi è vissuto ai tempi di Monnet, Schumann,Adenauer, Degasperi e’ davvero infinita
Alfredo Codecasa
Reputo errata l'inclusione di Israele nel numero di nazioni favorevoli a un ipotetico "partito della guerra". Mettendo da parte, per quanto sia difficile, l'antisemitismo europeo sempre più presente e incoscientemente sdoganato dalle Sinistre (mentre le Destre sogghignano e lasciano ad altri il lavoro sporco fatto per tanto tempo), colpisce una lettura del Medio Oriente che è viziata da residui ottocenteschi, paternalisticamente post-colonialisti e da pregiudizi geopolitici in cui ancora una volta l'astiosità antiebraica gioca un ruolo. Israele non è Sparta e non ha neanche in interesse "naturale" ad esserlo, ma vive in un contesto che non ha e non ha mai avuto paralleli in Europa, neanche adesso che l'Occidente mostra tutte le sue mediocrità mercantili di fronte al problema dell'Ucraina. Dalla sua fondazione nel 1948, in virtù anche di quel Sionismo di cui troppi cianciano senza averlo minimamente approfondito, Israele ha immediatamente provato sulla sua pelle il contesto ostile in cui vedeva la propria nascita: una mescolanza ancora oggi in buona parte irrisolta di odi atavici, di antisemitismo religioso e politico, di rifiuto in nome di un post-colonialismo artatamente distorto, di negazione della propria Storia, di conflitti tribali, di nazionalismi stretti fra ambizioni opacamente laiche ed eredità religiose. Israele è sin da allora cosciente di potersi permettere di perdere qualche battaglia minore ma di non potersi concedere in alcun modi perdere qualsiasi guerra. Questione pianamente di sopravvivenza, con tutti i significati che questo termine può assumere per la Diaspora e il massacro perpetrato da molte nazioni europee con la Shoah. Parlare di partito della guerra in Israele è comoda retorica artatamente semplicistica: al netto degli errori compiuti dai diversi governi israeliani (e perché mai agli israeliani non dovrebbe essere concesso di sbagliare?), e al netto delle molte offerte di pace fatte ai palestinesi e ai loro rappresentanti a partire da Arafat, l'incancrenimento della situazione era inevitabile e non poteva non suscitare anche una risposta estremista presso alcuna fasce minoritarie della società israeliana che hanno ovviamente cavalcato il rifiuto palestinese sostenuto in larga parte dalle Sinistre europee sin dal 1967 (quando in Israele esisteva una solida Sinistra che ha pagato caro la diserzione europea). Troppo lungo in questa sede ripercorrere il tragitto compiuto dal 1967 ad oggi dalla societa israeliana, dalla sua realtà politica complessa, dalla sua realtà economica, industriale, tecnologica, culturale e militare: il 7 di ottobre 2023 (data che le Sinistre europee e la ben finanziata propaganda pro-palestinese hanno cercato di seppellire, aizzando un antisemitismo forse persino più pericoloso di quello degli anni Trenta e Quaranta) ha stabilito un Great Divide per adesso, quello sì, incancellabile per lungo tempo. Che gli europei speculino sulla propaganda antiebraica e sui dati falsati di Hamas e che accusino Israele di essere ben diverso da quello che è in realtà (cioè, una vera democrazia che nulla ha da invidiare allo sconquasso tragicomico delle società europee) ha un peso ben relativo. Netanyahu, pur con tutto ciò che gli si può rimproverare (senza trasformarlo maliziosamente nel Male impersonificato) e pur nel suo messianesimo ormai corrotto dal prolungato esercizio del potere, ha proseguito l'opera di modernizzazione della Nazione ebraica, portandola ad un livello di sofisticazione creativa e di benessere senza precedenti: nel momento di maggiore responsabilità (e pure di massimo fallimento) ha portato Israele a combattere e a vincere militarmente su sette fronti, a ristabilire la sua capacità di deterrenza e di capacità militare, a svelare il bluff iraniano, a stroncare Hamas, a domare Hezbollah, a domare i confini con la Siria, a dimostrare ancora una volta la resilienza del popolo israeliano e delle sue capacità nei momenti di maggiore difficoltà. Pare una battuta, ma forse all'Europa che frigna di fronte a Putin e che di fronte a Trump mostra che il re è nudo un Netanyahu farebbe assai comodo.
Gianni Morelenbaum Gualberto